David Bowie cantò Under Brescia

Ritratto di Redazione

Addio Duca Bianco... Ricordo tutto del giorno in cui ti ho amato dal vivo: Stadio Rigamonti, 8 luglio 1997... Avevo un paio di jeans e una maglietta verde militare, con una collana «marocca» a cui era appeso un pendaglio di ceramica con effigiata una foglia di «maria», io che nemmeno sapevo cos'era fumare una sigaretta.
Quel pendaglio era il retaggio di un viaggio magnifico fatto un anno prima a Barcellona, perché magnifici erano gli amici che lo vissero con me. Indimenticabile, irripetibile, come la giovinezza che tutto adorna di luce e gloria nella nostra sensazione di ragazzi che, immodesti come la gioventù, pretendevamo di tutto cogliere e di tutto godere. E in parte ci abbiamo colto e goduto assai, se a 22 anni abbiamo scelto di andare in cerca di chi era, in primis, un idolo di genitori e zii.
Allo stadio quel giorno eravamo io, mio fratello Gigi, Davide e Roby, lo stesso Roberto Parolari, nostro collaboratore oggi, che ha recuperato come un cimelio il biglietto in questa pagina, conservato con la stessa gelosia con cui custodisce ancora un vinile di Atom Heart Mother dei Pink Floyd, rimediato nel 1993 in una gita a Vienna.

Da quando ero «gnaro» c'erano solo due uomini di cui non mi sono vergognato nel dire che amavo, a dispetto delle mille elucubrazioni idiote di tanti coetanei: David Bowie e Fabrizio De Andrè.
In comune avevano forse la loro stessa morte, ossia la sigaretta, perenne presenza tra le dita. In comune avevano pure quel loro essere «fighi» in modo unico, intellettuale, sfuggente, mai banale, perché figlio al contempo di una sofferenza e di un godimento poetici. Eppure di diverso avevano tutto il resto.
La palla del mondo si sganciò dal palco al Rigamonti quel giorno, varata con eleganza dalle tue mani lunghe e affilate. Il Rigamonti, per presenze, non era certamente il Delle Alpi dei Pink Floyd di quattro anni prima dove pure ci fiondammo: troppo intellettuale David, troppo rozza forse la nostra provincia, al punto che di tutto lo stadio si scelse di utilizzare meno di un quinto: la sola tribuna principale. E infatti se eravamo in 2000 eravamo tanti. La stessa matricola del biglietto di Roby lascia ben poco all'immaginazione: 1611. Ma oggi sul carrozzone della morte sono tutti critici musicali e intenditori, come è giusto che sia a ogni funerale.
La «mise» del camaleontico, istrionico David quel giorno attingeva a tailleur vestagliati che citavano la Union Jack e scelte tra l'estremo oriente e il costume animista.
Vogliamo dirla tutta: eravamo indemoniati di te, ma anche della nostra gioventù che sentiva di essere partecipe di un rito musicale unico, ristretto, forse persino snobbato, al punto che eravamo pressoché gli unici a scalmanarci a ogni pezzo, ma soprattutto all'arrivo di Little Wonder, che è anche l'apertura dell'album Earthling.
Da allora ti abbiamo seguito fino al giorno in cui le nostre presenze si sono fatte non più in anticipo sul futuro, ma perpendicolari e in debito con le prescrizioni della vita, quelle che – va detto - ti fanno spesso perdere prima un singolo, poi un album, poi la tua pelle fragile e tirata di ragazzo affacciato sulla enormità suggestiva dell'arte, per affacciarsi a un mondo fatto di strani numeri e pagelle più spietate di quelle scolastiche.
Così ti abbiamo perso per strada, raccontandoci di tanto in tanto gli album successivi, ma anche no... Riascoltando invece mille volte e riffeggiando alla chitarra acustica brani intramontabili come Space Oddity con quel devastante e anaforico «Ground Control», e chi se ne fotte una volta tanto di chi dovrà cercare anaforico sul dizionario a me che pare disgustevole anche l'imposizione del latino in aula, da laureato in lettere quale dovrei essere secondo le carte. Concedetemi anaforico.
Anaforico è il mio ricorso a te in ogni momento della mia vita, ogni qualvolta è stata illuminata da un briciolo d'arte o da un briciolo di disperazione, come pure al mio personalissimo dio.
Anaforici sono gli ormai nostalgici e finto-scandalizzati «sbàsa ste müsica» di mio padre quando alzavo a mille il Pioneer usato che il mio stesso babbo si era adoperato per acquistarci in culo alla provincia, attingendo agli annunci del Bazar di Bresciaoggi. Dio ti baci babbo stanotte e sempre.
Anaforico è il mio ricorso a te anche nella vita professionale quando, tra mille dubbi, ebbi la tua luce a confermare la scelta del nome della quinta testata dei nostri giornali...
Under Brescia: già, come hai cantato tu quel giorno rifacendo il verso a quell'Under Pressure di Freddie Mercury, facendo volare le rondinelle in un modo unico e straordinario, baciando di gloria la mite brescianità.
Buonanotte amore mio, te ne sei andato, per non andartene mai più. Lasciando in un piovigginoso funerale quel rito maestosamente patetico di «Life on Mars?» per accompagnare al tuo fianco le nostre migliori presenze, i nostri peggiori addii.

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