Addio Vittorio, cuore alpino

Si è spento a 49 anni dopo un male improvviso
Ritratto di Massimiliano Magli

Roccafranca ha perso la sua quercia. Nella notte tra il 18 e 19 agosto Luigi Vittorio Cazzago si è spento a 49 anni dopo un male violentissimo. Avrebbe compiuto i 50 anni l'8 settembre.
In nemmeno due mesi, questo uomo coraggioso, generoso e pieno di iniziativa ha ceduto ai colpi di un male incurabile che non gli ha lasciato scampo. Dopo le cure all'ospedale di Manerbio, ha trascorso gli ultimi giorni al Civile di Brescia nel tentativo disperato di combattere un male che pareva non trovare ostacoli in nessuna forma di cura. Dopo le prime speranze, gli ultimi giorni hanno annunciato la fine.
Vittorio si è spento tra le braccia della moglie Ana Vreto, lasciando nel dolore i figli Cristian, Francesca e Selena, i genitori Francesco Beniamino e Caterina Raineri, oltre ai tanti amici e colleghi di lavoro che aveva conosciuto su decine di cantieri.
Un dolore immenso per tutta la famiglia, che due anni fa aveva dovuto scontare la scomparsa di Davide, il fratello.
Tiziano Lorenzi, cugino di Vittorio: «Se ne va una persona di una bontà rara... Un'ingiustizia assurda per chi come Vittorio ha dato l'anima per la famiglia e la comunità. La sua generosità merita un ricordo duraturo».
Vittorio lavorava come muratore, aveva una piccola impresa che lavorava in tutto il nord Italia. Era stato inoltre tra i fondatori del locale gruppo Alpini, che fino all'ultimo ha rappresentato un suo costante pensiero. A maggio, infatti, era riuscito a raggiungere Trento per il raduno nazionale delle Penne Nere, ancora all'oscuro del destino terribile che l'avrebbe atteso.
Bisogna dire quando ho conosciuto bene Vittorio. E' stato pochi anni fa, quando parlare di alpini a Roccafranca sembrava una cosa buttata lì... Parte il progetto. Qualcuno di Rocca purtroppo è già attivo in altri Comuni, come a Urago, ma si parte e i risultati sono comunque ottimi. C'è affiatamento, ci sono una decina di volontari stabili e c'è tanta umiltà...
Poi c'è un giorno o, meglio, una sera, alla Trattoria S. Antonio, dove gli alpini festeggiano. Il mio tavolo davanti al forno... Non sapevo della festa e me ne stavo con Zaccaria e Angelo a mangiare sul tavolo degli «imbucati»... Poi lascio, esco per un istante, e quando entro trovo Cristian, il figlio di Vittorio, con il cappello da alpino, seduto a mangiare come se nulla fosse a fianco di Zaccaria...
Io di libri di guerra ne ho letti e curati forse un centinaio... Il senso del rancio alpino l'ho apprezzato da Vicenza alla nostra Bottonaga, per non parlare di Asiago e di Rigoni Stern... Ma quando ho visto Cristian con quel cappello, figlio della tradizione del suo babbo, mi si è aperto il cuore e mi sono sentito fortunato di avere un piccolo alpino che mangiava scanzonato con mio figlio, scanzonati entrambi perché la bellezza dei simboli è che i bimbi li conoscono per simboli, li apprezzano come tali ma li indossano senza il passato...
E in quel tavolo ci ho visto settant'anni anni fa, come oggi, due alpini che cresceranno insieme, con il diritto a essere più felici, anche grazie all'amore di Vittorio.

 

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