I bambini no

Ritratto di roberto parolari

Il presidente del consiglio Conte ha illustrato la “fase due” e ognuno ha da recriminare e da lamentarsi e reputa di essere stato penalizzato dalle decisioni del governo. A torto o a ragione non lo sappiamo: sicuramente la scuola è stata dimenticata.
I criteri economici che guidano la “riapertura” non contemplano la scuola. I bambini (come gli anziani) non sono una categoria produttiva e quindi lasciamoli perdere. 
Ci poniamo una serie di domande e le poniamo a coloro che prima non volevano chiudere e che ora premono per aprire. Quanto sono disposti a cambiare il loro sistema? quanto le aziende sono disponibili a rendere flessibile la loro organizzazione sia verso l’esterno che al loro interno? cambieranno la loro organizzazione? cambieranno orari e calendario, dovremo ancora adeguarci al sistema produttivo o la flessibilità di questo consentirà di distribuire gli impegni lavorativi in modo da eliminare gli orari di punta, di differenziare il calendario di lavoro? con evidenti ricadute positive sull’intera società dai trasporti alla mobilità, alla gestione familiare. Potremo articolare il nostro lavoro in ufficio e da casa secondo esigenze che non siano dettate solo dalle aziende o dal cosiddetto sistema produttivo?  
Non siamo sociologi e quindi lasciamo queste riflessioni ad altri. 
A noi interessa la scuola. 
Abbiamo più volte detto che apprezziamo il lavoro cui si sottopongono i docenti per mantenere il contatto con i loro studenti, ma ribadiamo che la DAD è solo uno strumento legato all’emergenza del momento, utile, forse necessaria, ma certamente non sostitutiva della scuola.
Alcuni già predicono che sarà la scuola del futuro, noi pensiamo che sia solo un tentativo maldestro per dimostrare che la scuola non serve.
Le stesse domande che abbiamo posto sopra al sistema produttivo vorremmo porle alla scuola. Quanto è disposta e pronta a cambiare il suo modello organizzativo vecchio di cento anni? Quanto ancora l’insegnante, con o senza gli strumenti informatici, sarà l’unico referente dell’insegnamento? quanto ancora gli studenti subiranno noiosamente orari assurdi? quanto ancora la valutazione riguarderà la performance individuale e non il percorso di maturazione e cultura che ognuno ha compiuto? Quanto accetterà la scuola che la sua organizzazione non è adeguata ai tempi? 
È colpa degli studenti, delle famiglie se l’abbandono scolastico in Italia viaggia attorno al 19%.
Non vediamo all’orizzonte grandi proposte di rinnovamento, ma solo la frenesia di reggere l’emergenza, poi si vedrà. Assumere qualche migliaio di precari, regalare tablet e cambiare l’esame di maturità non servirà a nulla. 
Ce la facciamo a pensare ad una scuola diversa, non organizzata per classi, ma per gruppi di lavoro, di studio e di ricerca, aggregati su criteri e principi che non siano solo di tipo anagrafico? Ce la facciamo a pensare ad una flessibilità oraria che consenta una complementarietà del lavoro tra scuola e casa (e non stiamo parlando di compiti), ma tenga conto della vita familiare, sociale e lavorativa delle persone coinvolte?  
La flessibilità organizzativa, di programmazione, progettazione e metodologica è fondamentale per dare risposta anche a nuovi eventuali imprevisti. Possiamo e dobbiamo tornare a scuola, anche da subito, con una organizzazione nuova, con una visione di cambiamento innovativa, ma non lo possiamo fare da soli, è necessario il cambiamento strutturale delle altre componenti sociali.
Cambiare la didattica serve a poco è banale e riduttivo. Lo strumento informatico è importante e imprescindibile se rimane strumento. Assolutizzare con questo la didattica, rischia di ridurre le capacità critiche di alunni e studenti e di immiserirle in una sterile e superficiale costrizione all’apprendimento. 
È tempo di abbandonare l’idea dell’obbligo scolastico per pensare di più al diritto allo studio. Senza questa inversione di prospettiva temiamo che diventi più che mai attuale quanto affermava Ivan Ilich oltre 50 anni fa: «...per la maggior parte delle persone l’obbligo della frequenza scolastica è un impedimento al diritto di apprendere». 
* Ex Dirigente scolastico e pedagogista
 

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