A scuola sui carri bestiame

Ritratto di mavi

Nel 1947 mi iscrissi al primo anno dell’I.T.I.S. di Brescia. A quel tempo questo Istituto Superiore era popolarmente conosciuto come “Scuola Moretto” che, in realtà, questo era il nome della più antica Scuola serale di disegno intestata al grande pittore del Cinquecento nato a Rovato. Entrambe le Scuole avevano sede nello stesso edificio (ex Convento di Suore) situato in fondo a Via Santa Chiara, dietro la Chiesa di San Faustino ai piedi del Castello. Attualmente l’I.T.I.S. ha cambiato sede e nome. Ora si chiama “Castelli”. Di studenti rovatesi, all’I.T.I.S., eravamo solo in quattro: uno al terzo anno, due al secondo e uno (il sottoscritto) al primo. Era una Scuola molto dura e selettiva. Solo in due arrivammo a finire la 5a classe e ottenere il diploma. L’orario era di 8 ore al giorno, dal lunedì al venerdì, più 4 ore il sabato. I pomeriggi erano dedicati a lavori e esperienze di laboratorio. Prendevamo il treno di andata alle ore 7,00 a Rovato e il treno di ritorno, a Brescia, alle ore 18,30. Andavamo in Stazione in bicicletta. E depositavamo le bici presso il “butighì de le Maghe”, gestito da due anziane sorelle che, dietro una piccola bottega di frutta e verdura, avevano una stanza adibita a deposito biciclette. Io partivo dalla contrada di Santo Stefano e d’inverno, per la neve abbastanza frequente, ero costretto ad andare in Stazione a piedi percorrendo circa due chilometri. Il treno, che arrivava da Milano, era formato da un convoglio con 5 o 6 vecchie carrozze, sempre strapiene, e 3 o 4 carri bestiame adeguati al trasporto persone e probabili residui, questi carri, delle tradotte che trasportavano i nostri soldati durante la disastrosa campagna di Russia. L’attrezzatura dei carri consisteva in alcune panche di ferro e legno fissate al pavimento. L’accesso ai carri era quello normale di questi mezzi di trasporto, con grandi porte a scorrimento. A Rovato, penultima stazione del lungo percorso, era quasi sempre impossibile salire sulle carrozze e bisognava accontentarsi dei carri. D’inverno si moriva dal freddo. Il treno arrivava a Brescia quasi sempre in ritardo. E questo era per noi un grosso guaio. Dovevamo attraversare la città (almeno un paio di chilometri) a piedi e di corsa, per arrivare all’I.T.I.S. entro le ore 8,00. Altrimenti, secondo le militaresche disposizioni dell’intransigente Vicepreside Prof. Boscarino, trovavamo il portone chiuso fino alle ore 9,00. Perdendo un’ora di lezione e dovendo portare, il giorno dopo, una giustificazione firmata dai genitori. Devo peraltro precisare che il suddetto Prof. Boscarino, come insegnante di Elettrotecnica, era severo ma molto preparato e giusto nel valutare i suoi allievi. Nella foto qui riprodotta ci sono tutti i 36 studenti che si diplomarono nel 1952 e i loro 10 insegnanti. 
Se ben ricordo, il sistema dei trasporti ferroviari incominciò a normalizzarsi nel 1949 e i carri bestiame scomparvero dal trasporto passeggeri. Non scomparvero però i ritardi e i disagi sopra indicati nei rapporti con la Scuola. Devo anche precisare che, in quel tempo, all’I.T.I.S. non c’era la mensa. E tutti gli studenti che venivano da fuori città, nelle due ore di intervallo di mezzogiorno, dovevano arrangiarsi. Nella zona tra via Santa Chiara a via San Faustino c’erano alcune osterie con cucina che davano ospitalità ai suddetti studenti. Con 50 lire si poteva prendere una abbondante scodella di minestrone, un paio di panini, un bicchiere di vino con gasosa e far scaldare la “schiscetta”, che portavamo da casa con un po’ di secondo (frittatine prevalenti). Noi di Rovato, con altri ragazzi provenienti anche da fuori provincia (si tenga presente che in tutta la Lombardia c’erano solo 6 o 7 Istituti Tecnici e non tutti con le stesse specializzazioni), eravamo ospiti fissi, nella traversa Pozzo dell’Olmo, all’osteria gestita dal “Sior” Antonio e dalla “Siura” Maria. Due anziani coniugi che ci trattavano come figli e che, dopo pranzato, ci lasciavano liberi i tavoli per studiare e fare qualche compito in modo da alleggerire gli impegni serali a casa, dove arrivavamo sempre tardi. 
Penso anche interessante raccontare che, a quel tempo, era molto diffuso il contrabbando di sigarette. E Rovato era uno dei centri più attivi nel commercio clandestino di sigarette americane, peraltro spesso contraffatte e confezionate con una miscela di tabacco prodotto a Travagliato. Questo tabacco era scherzosamente chiamato “American Traeiat Tabak”. E le sigarette venivano smerciate a un prezzo estremamente concorrenziale. Io mi ero preso l’incarico, stupidamente, di portare ogni settimana almeno una decina di pacchetti di queste sigarette a due Assistenti di Laboratorio della Scuola. Acquistavo di contrabbando le sigarette a Rovato dal calzolaio “Pipe”, che abitava in Castello, e le nascondevo nella cartella in mezzo ai libri. Ho detto stupidamente perché, oltre a non guadagnarci niente, correvo il rischio di essere perquisito e denunciato dai poliziotti ferroviari, sempre presenti nelle Stazioni. Tra l’altro, e paradossalmente, tengo a precisare che io non ho mai fumato una sigaretta in tutta la mia vita.

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