Addio Seramondi

Ritratto di Redazione

11 agosto 2015

Questo è un manifesto della Brescia che non c'è più...
Chi ha conosciuto Francesco Seramondi da ragazzo, io che ragazzo non sono più, aveva 20 anni 20 anni fa...
Era il luogo dove finire una serata e finirla in modo sano, ossia mangiando, sia che tu avesi bevuto troppo, sia che tu avessi voglia di stare ancora un po' insieme agli amici...
Seramondi aveva il cuore di un bambino... e la voglia di lavorare di un colosso...
Chi ricorda il negozio, oggi spostato dall'altra parte del complesso, ma un tempo all'interno del ferro di cavallo del polo commerciale su via Val Saviore (incipit di via Milano), dove entravi a fatica tra due panettoni di cemento, ricordava anche quanti immigrati trovarono lì lavoro, in tempi che già erano segnati dall'immigrazione massiccia.
Indiani, ucraine, nord africani... erano di casa in questo luogo e si facevano lo stipendio.
L'approccio era industriale: teglie enormi con fette di pizza super oleose, alte almeno quattro centimetri, tagliate persino con il «frattazzo», che poi altro non era che una specie di bocca del cassetto con la maniglia... Via: appena posata la pizza fumante, si tiravano le porzioni e poi la carta oleata faceva il resto.
«Seramondi» era una parola d'ordine anche a S. Eufemia, dove pure ebbe una pizzeria al taglio, ma era talmente ferrato in tutta la zona da servire decine di fornerie e persino la festa di S. Eufemia, quando era ancora lì, di Radio Onda d'Urto...
Entrava a tarda notte con le sue teglie fumanti a soddisfare la fame «chimica» dei tanti ospiti, bevitori e fumatori, bravi ragazzi e scapestrati, delinquenti e giornalisti che chiudevano lo sport di domenica all'una di notte come i turni di nera...
La sua fine è la storia di una Brescia che non c'è più... Lui ha siglato con la sua vita e quella di sua moglie, Giovanna Ferrari, 63 anni, una Brescia irriconoscibile...
Le forze al governo di questa città, di questa provincia, di questa Regione, di questo Stato, della mafia non ne parlano mai... mai se non quando «devono» istituzionalmente... Parlarne fa male, fa terrore, fa paura... in definitiva, e dopo la «definitiva» c'è anche il comodo, perché qualcuno con la mafia e il malaffare ci mangia.
Senza essere complottisti, del resto, troppe cose non tornano da tempo per la nostra gente: il bresciano è uomo schivo, ma anche sbracone, tavolta puttaniere a «norma di legge» al tempo stesso, smargiasso e viveur, lavoratore indefesso e anche un po' ingenuo con l'idea di essere tuttavia affrancato, acculturato, devoto per sempre, spesso, all'idea che dai 40 in poi possa campare di rendita, perché lavora, lavora come un mulo. E in tutto questo quadro sociologico, il bresciano trova soprattutto una certezza: tutto è tra le righe, e se tutto è tra le righe mi sento protetto, in primis dalla gente intorno - gli altri bresciani - e poi dalle forze di polizia.
Francesco e Giovanna sono bresciani. Vivono di lavoro, lavoro notturno, lavoro continuo, hanno la certezza che il sistema li protegga... Ma...
Ma non è così... In un paese con gente che denuncia, le scorte dovrebbero lasciare i politici per difendere gli impotenti... Quelli che non vanno in Parlamento, ma che vanno a lavorare in mezzo alla strada senza essere sulla strada.
In un paese che ha pochi punti di riferimento, i punti di riferimento andrebbero tenuti come totem. Ma...
Ma non è così...
A Brescia i simboli annoveravano anche Seramondi, come l'osteria Il Bianchi, come la Tomba del Cane, come la Libreria Tarantola, i cd da ascoltare alla Ricordi, come l'Iveco, come i sogni musicali che sbocciavano da Vigasio, Prandelli o Passadori, come una piazza Repubblica che è orma l'ombra di se stessa, come i ragazzi che fuori dalla Pastori attendono la «filo», come l'Abba e il Calini, i ragazzi per strada «sicuri» e sereni... Dove le sfide, esclusa la «maledetta» della droga, erano fare notte al «Donne e Motori», attraversare tenendo il fiato la smoggosa Galleria Tito Speri, parcheggiare in divieto sulla salitella del Castello dove Spazio Arnaldo è fragorosa assenza... dove «facciamo pre-serata, e poi si parte per il lago...».
Come le camporelle osate in «Maddala» al primo spiazzo utile, che tutti sanno dov'è, a guardare le luci gialle della città blu, come la Briscola che dopo l'amore raggiungevi per sentiero, o la Briciola che in via Orzinuovi ti fa sentire signore con quattro soldi ma mangiavi con i personaggi della tv come i giornalisti che cercavano a Brescia la Cristina del Grande Fratello... Come Porteri che trova patron Raul predicatore di una predica che già conosci, ma che vuoi sentire ancora... O come l'ultimo amico che ti fa fermare davanti al gasometro sul cavalcavia Kennedy e che ti spiega, ma tu sai già tutto...
Brescia che oggi ti osannano i rapper come Dellino Farmer e i Cinelli's, ma che prima te la raccontavi da solo... Brescia di via Musei, dove, poco oltre, essere al Re Desiderio era prendere un tram per uno studio antropologico, perché ti sentivi un eroe contro il pregiudizio... e al contempo pregiudizioso tu stesso e piacevolmente colpevole. Brescia che ha un bove sospeso sulla tabaccheria di via Trieste e che preghi ogni volta che entri in Cattolica per un esame... Brescia di via Tosio, quacchera e viziosa al tempo stesso, silenziosa e sonante al tempo stesso...
La Brescia di Canton Mombello, dove parcheggi e ti chiedi, solo per un istante, di questo e quello, dietro la murata, mentre raggiungi gli amici per un nuovo «bordello». Brescia... dove un binario è il luogo per bere chiamato Lio bar, pure appeso sopra il crimine che ogni giorno lo corteggia senza successo... dove hai imparato a bere e a trovare bellezza in alternativa alla discoteca...
«Brescia da non bere», quella del comparto di via Milano, che raccontavo in un libro omonimo che chissà se in Queriniana esiste ancora... Brescia che fa la monella ed è modella... La Brescia che ti portava ai licinsì in un batter d'occhio, a Costalunga altrettanto, ai Ronchi per una spremuta di scontrino che ti faceva sentire signore... e al contempo a casa... come a casa era il balzo su per la Vedetta in «Maddala» o alle «Cavrelle», dove i cavolfiori spuntavano periodicamente con la preziosità del tartufo...
Via Veneto, il bar omonimo e l'osteria a fianco, la vecchia osteria di via Piave e l'ospedale Civile dove ti senti bresciano perché pensi che bresciani siano e si sentano i medici che vi vivono e muoiono con i tuoi peggiori ricordi...
Seramondi è il Brescia totem, il «totus tuus» che nessuno ci toglierà mai... e che pure ci hanno tolto, nella peggiore delle giornate, che forse nessuno sarà in grado di realizzare a pieno... Una piccola, minuscola, bestemmievole piazza Loggia, non degna del paragone – forse – ma degna di essere ricordata per sempre, come quelle bombe.
 

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