C'era una volta un'avventura

Ritratto di Massimiliano Magli

Se ci sono post o blog su internet che apprezzo sono i post di vacanza, di viaggio in tutti i sensi, anche quelli più banali, compiaciuti. Fosse pure l'orto appena fatto come la biciclettata fuori casa o il libro appena letto. Il perché è nella felicità che c'è in ciò che raccontiamo. Finiremo per scoprire che l'intera vita è una vacanza se tutti riusciremo a ricavarci uno spazio di ricerca. Guai a esagerare con i post al punto da non vedere nostro figlio che attraversa pericolosamente una strada, ma guai a definire e giudicare chi racconta.
Internet ha donato l'immensa possibilità di centuplicare, milliplicare le nostre conoscenze e in questo dato di fatto (che pure annovera mille cavolate da parte di milioni di utenti, me compreso) sarà la spiegazione di come mai potremo crescere in modo esponenziale nei prossimi anni: nella medicina, nei viaggi, nella cultura dei luoghi, nelle relazioni.
E dio solo sa quanto sono compiaciuti anche i post più interessanti. Già, perché il compiacimento è quello di far vedere agli altri ciò che si è scoperto, di condividerlo. Da questo compiacimento muove ogni cosa, a partire dalle scoperte mediche e scientifiche.
Gettate alle ortiche le condanne di chi considera vanesio il vostro racconto.
Sarebbe come condannare i milioni di libri pubblicati in un anno da parte di migliaia di autori che nessuno conosce. Ebbene, in ogni libro è racchiusa una verità, una storia, anche nel libro più banale, più ingenuo. Nel leggerlo impari sempre, fosse pure l'ignoranza di chi l'ha scritto.
Condividere un pezzo di vacanza, che io amo chiamare viaggio, cultura e scoperta, è straordinario. Non amo la parola vacanza perché non ho mai trascorso un solo giorno senza aprire il computer e «lavorare» come dicono molti. Ok, diciamo lavorare, fermo restando che in pensione o senza pensione, lavorerò anche gli ultimi giorni della mia vita, e come me tanti, in definitiva tutti, visto che anche tenere relazioni, giocare a carte, impegnarsi a dama è lavoro... Non va giù come concetto: sapete perché? Perché quando si fa qualcosa che piace non è lavoro per molti. E' una tara che supereranno alla grande le prossime generazioni guardando indietro con compassione, stupiti del fatto che tutto fosse lavoro, impegno, vita solo se in primis vi fosse stato un cartellino da timbrare un cedolino paga da consultare con ansia.
Vacanze meritate: un'espressione devastante, schiavistica. L'etica, quella sì, è la vera vacanza da meritare. Con quella vai dappertutto con pieno diritto.
Faremo tutti qualcosa fino alla fine della vita e il peccato è pensare che quando obbedisci a un padrone lavori e quando fai da solo sei un imprenditore... E tutto il resto? mi chiedo io.
Meglio sarebbe parlare di vita tout-court, sia quando sei sotto l'ala del «capo», sia quando sei in vacanza. Peraltro, nella strana concezione del nostro occidente, vacanza appare anche la vita dell'imprenditore, che rischia di suo (ma ciò lo si dimentica facilmente), ma ha la libertà di muoversi, ovunque. Cosa fa l'imprenditore nel frattempo? Pensa. E mentre pensa il tempo diventa tesoro, ruba piccoli, continui spazi alla sua vita, sviluppa curiosità con genialità e crea idee che nel tempo «costretto» del cartellino da timbrare sono difficili da produrre. E nascono piccoli capolavori, posti di lavoro, felicità nuove e famiglie più felici. Fermo restando che l'imprenditore è un marinaio che affronta l'oceano con la barchetta... L'avete dimenticato, generalizzando i tanti che dopo la barchetta sono riusciti a comprarsi uno yacht?
Mi piacerebbe appartenere a questo tempo, un po' come Richard Branson che posta e racconta la sua vita da imprenditore (dire miliardario non ha senso) anche quando l'uragano Irma passa sopra la sua casa nella sua personale isola (Necker) distruggendo tutto. E lui posta, ricordando che l'importante è sopravvivere, non piangere il distrutto e che la vita non ha prezzo, che non ha senso togliersi la vita per una casa distrutta.
Niente di più banale, eppure niente di più vero... Già, perché spesso il più vero di tutti è il più ignorato di tutti...Così trovi incoscienti a finire annegati in acque che sapevi pericolose, o a fare surf su onde di dieci metri con due figli in spiaggia per poi tornare cadaveri o a uscire durante un uragano tentando di fotografarlo per avere una marea di «mi piace», salvo poi trovarti la vita mozzata da un palo del telefono che ti cade in testa...
Ecco il discrimine: tra Branson che si rifugia nella cantina e aspetta il pericolo raccontando e chi pretende di raccontare con incoscienza. Onore a entrambi, poiché entrambi hanno arricchito di cultura la nostra umanità, ma uno ci ha lasciato le penne. Uno ha confuso, questo sì, la vanità del racconto con l'impagabilità della vita.
Mi vengono in mente due concetti, sfruttando la tentazione della scrittura istantanea, quella del flusso di coscienza che Joyce utilizza in Ulisse, ossia del dire ciò che passa per la mente in modo immediato, senza mediazioni di trama. I concetti che mi vengono in mente non sono tuttavia slegati da quello che ho appena scritto.
Eccoli.
Anzitutto, a proposito di pazzi che rischiano la vita, in fondo oggi siamo ancora un po' pazzi nel fare cose che sembrano invece normali. Prendere un aereo, per esempio. L'uomo esiste da millenni, ma l'aereo esiste da solo cento anni, perfezionato finché si vuole, ma le ferie e i viaggi di lavoro della globalizzazione impongono che un aereo sia una passeggiata. Invece io avverto ancora oggi che è un azzardo. Anche dopo decine di voli, sto piuttosto dalla parte di chi ha paura folle di volare rispetto a chi vi sale come su un pullman. Per screditare questa paura si citano i morti in auto, che pure sono veri e più che in aereo; si evidenzia che la sicurezza avvertita di poter guidare un'auto e controllare il proprio destino è speciosa, poiché basta una sterzata di un camion per cancellare tale sicurezza. Tutto vero, ma quando decolli e quando atterri qualcosa non torna: avverti la totale anormalità del gesto meccanico. Al punto che diversamente non si spiegherebbe l'applauso in atterraggio per il pilota che ha fatto tutto al meglio... Avete mai visto un applauso al conducente di un autobus a fine corsa?
Il secondo concetto, o concepito, o pensato... Guardai mio padre prima di dormire, una notte. Avevo sì e no vent'anni. Mi interrogavo con lo stesso cruccio «filosofico» con cui si interroga mio figlio a sette anni su tante questioni (e qui già vedi come corrono le nuove generazioni). Osservai: «Papà ma come posso dire di aver trovato la donna della mia vita se non conosco tutte le donne del mondo?».
La sua risposta - da uomo agricolo, contadino con la pensione minima, che tuttavia leggeva e scriveva senza fine; che aveva un'orgogliosa terza media da uomo del 1930; che un giorno intercettai sdraiato sul letto di mio fratello, gambe accavallate, e «La montagna incantata» di Thomas Mann in mano (mi vengono ancora i brividi a rivederlo)...; che raccontava le ingiustizie subite sul tema Invim e Ilor (tasse per terreni costretti ingiustamente alla vendita) al Campidoglio americano e al suo amico di balera Mino Martinazzoli (che rispose con un biglietto della Camera dei Deputati)... - ebbene la sua risposta fu: «Quando ti innamori non c'è nessun altra. L'amore ti prende e ti conquista».
E allora ripenso a quella frase. Incroci donne bellissime ovunque, come ogni donna incrocia uomini bellissimi ovunque... Ti fermi a pensare se quella donna fosse tua; magari in quel momento la senti parlare e ti pare persino più dolce e intelligente della tua, magari dopo aver fatto una bella litigata o passato un periodo no, magari quando il periodo no è in realtà la normalità raggiunta dopo anni di convivenza...
Pensi e pensi e pensi...
Ma se pensi e pensi e pensi (davvero) poi realizzi: e capisci che non solo tuo padre aveva ragione, ma che la vita è quel viaggio di cui abbiamo parlato tanto sinora. E che se il tuo treno, o il tuo aereo, nonostante gli scossoni, i vuoti d'aria o i rallentamenti, sono ancora sui binari o in cielo, hai per le mani qualcosa di speciale. La vacanza perfetta. Se poi ci aggiungi il culo di avere avuto dei figli... non c'è Club Méditerranée che tenga.
Già, perché poi, se pensi, realizzi che non solo dovresti avere avuto il tempo di conoscere (non vedere ma conoscere) tutte le donne del mondo, ma anche quelle che nel frattempo sono diventate donne da adolescenti quali erano, e quindi il tutto diventa un docile gioco al massacro dell'attesa, dell'attesa, dell'attesa...
Li conosco quelli dell'attesa... Sono persone migliori di me. Lo erano. Ma l'attesa li ha lasciati sull'isola.
Niente tuffo.
Hanno scelto di attendere.
Nel frattempo qualcuno era a metà braccio di mare con il salvagente, qualcuno nuotava spedito, altri erano annegati (e quello che attende se ne compiace), un altro era sotto lo scoglio in attesa dell'onda e aveva paura (e quello che attende se ne compiace)... Ma poi accade qualcosa di straordinario, lento, ma straordinario: qualche ex compagno di scoglio scompare agli occhi dell'uomo sullo scoglio.
E l'uomo sullo scoglio si interroga.
Si fa domande... E mentre si fa domande sente crescere una paura terribile. Si volta indietro e non trova nessuno.
Guarda avanti e non trova nessuno, perché tanti hanno raggiunto l'altra sponda, altri sono annegati, ma qualcun altro che stia lì a guardare le onde che frangono non c'è.
E allora l'uomo sullo scoglio si dispera, forse, o forse no, resterà lì, con la dignità di essere un segno, un faro, un qualcosa che sta lì e che non fa male.
Ma tu, sull'altra sponda non ci sei più, perché non solo hai raggiunto l'altra sponda, ma hai cominciato a camminare, persino a correre, con la donna della tua vita, e intanto «mano nella mano diventa «mani nella mani».
Ma tu, tu, tu che corri «mani nelle mani», penserai all'uomo sullo scoglio, di tanto in tanto, e ti dispererai per avere osato tanto. Perché capirai che il primo approdo, dopo la traversata tanto folle, non era niente. Avvertirai, ma solo in parte, il dolore immenso di tua moglie per aver messo al mondo un figlio; toccherai il dolore di realizzare che tuo figlio non ti apparterrà mai; forse avrai persino il dono disgraziato di veder morire prima di te uno dei tuoi figli...
E guarderai indietro, cercando disperatamente quello scoglio.
Allora capirai il dono di essere stato, tu stesso, figlio, e di aver visto, un giorno, tuo padre sdraiato sul letto di tuo fratello, gambe accavallate, e «La montagna incantata» di Thomas Mann in mano.

E ti verranno i brividi.  

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