Il regista Bresciano Piavoli ricorda Olmi

«Eravamo amici, come lui con Rigoni Stern»
Ritratto di mavi

Ermanno Olmi ricordato da un collega quasi coetaneo, simile in quella scelta per la natura che canta e recita senza troppe voci e che fece la fortuna di Olmi, con «L'albero degli zoccoli». Franco Piavoli, classe 1933, regista bresciano, di Pozzolengo, ha due anni in meno del grande regista nato a Treviglio (Bergamo) e morto nella Asiago che adottò a fine anni Settanta. 
Cos'abbiamo perso con la scomparsa di Olmi? «Con lui se ne va un rappresentante della grande sensibilità registica e cinematografica italiana. Ha tradotto alla sala cinematografica e nelle case il 'quarto stato' della nostra italianità. L'attenzione per gli umili, per la civiltà contadina, per le tradizioni, per la sociologia: questo è stato Olmi per me. Ieri, ancora più che oggi, quando di crisi non se ne parlava, investire il proprio lavoro in storie di umili significava avere grande coraggio, non assecondare il capitalismo cinematografico, ma fare ricerca letteraria e sociale con la telecamera». 
Piavoli era amico e confidente di Olmi, che incontrò anche lo scorso autunno, proprio ad Asiago, terra che non scelse solo per bellezza ma anche per l'affinità che aveva con Mario Rigoni Stern, l'autore del Sergente nella neve libro che pure ha un cuore bresciano, essendo dedicato alla campagna di Russia e in particolare al sergente Francesco Minelli, di Rovato: «Ad Asiago Olmi ebbe fino alla fine un'amicizia con Rigoni (scomparso nel 2008). Non fu una scelta casuale: le intelligenze e le sensibilità si cercano e si avvicinano. E così fu per me, visto che ero spesso io a raggiungere Olmi ad Asiago per salutarlo». 
Ma tra due registi c'è ben più di un saluto: «Parlavamo di tutto – spiega Piavoli -. La sua figura esprimeva forza e coraggio costantemente. Aveva già superato con determinazione problemi di salute, poi qualche settimane fa seppi che il male lo aveva conquistato, dopo che per mesi lo aveva domato con una forza da leone. Con lui condividevo tanto: un bergamasco e un bresciano sono come compaesani. Parlavamo delle nostre radici campestri, della vita semplice a cui abbiamo dedicato i nostri film». 
Cosa condivideva di Olmi, oltre alle origini? «Le cose che devastano quelle stesse origini, ossia la cancellazione di questa natura, di certe tradizioni, ma la ciclicità della vita vince sulla plastica, sull'acciaio, sull'egoismo». 
Con Olmi non mancavano confronti tecnici: «Abbiamo parlato anche delle nuove tecnologie. Sia chiaro – spiega Piavoli – il passaggio dalla pellicola al digitale ha dato tante possibilità, ma ha prodotto migliaia di cose inutili e inestetiche. E proprio internet e il digitale serviranno per far emergere da un mare tanto grande le eccellenze». 
E' accaduto anche con la carta stampata in fondo... «Proprio così – aggiunge – quando la stampa fu a portata di tutti, o quasi, aumentarono le pubblicazioni e dovette aumentare l'acume del lettore per cogliere il magnifico». 
«L'albero degli zoccoli» e poi... «E poi dico 'Il mestiere delle armi' grande film». «Centochiodi» aveva Raz Degan, non proprio De Niro, ma è un film interessante o no? 
«Vero, tant'è che lo stesso Degan si è detto resuscitato da quell'opera. Bellissimo anche per la riscoperta dei luoghi di vita sulle rive del Po». 
Schiva l'epitaffio Piavoli e preferisce un messaggio di amicizia: «Caro Ermanno sono certo che continuerò a parlare con te grazie all'eternità della memoria».

 

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