Angelo Vezzoli poeta del fiume e delle sue genti

Ritratto di alex

Angelo, dalle tue opere che ho letto con piacere e coinvolgimento emerge una passione autentica per la scrittura. Quando e perché hai iniziato?
Rispondo con le parole del mio primo libro di poesie “Il fiore della speranza”: “per sentirmi meno solo quando, nel silenzio della mia casa, la paura per il domani si fa opprimente”. La scrittura è sempre stata una terapia, un modo per esprimermi. Non sono mai stato loquace. A tredici anni ho contratto la distrofia muscolare. Ho dovuto fare i conti anche con la malattia, imparare a conoscerla, accettarla in modo graduale. Ci ho convissuto, ma sapevo che avrebbe cominciato lei a dirigere l’orchestra. Ludmila, una signora moldava, mi assiste da tredici anni nella quotidianità.

Un operaio metalmeccanico poeta e scrittore, non è da tutti.
Ho abbandonato la scuola superiore e sono diventato operaio alle officine meccaniche Bonetti Macchine per bottoni di Rudiano. Così l’ultima campanella dell’inizio delle lezioni ora veniva sostituita dall’urlo lamentoso della sirena di fabbrica. Dopo quasi trent’anni la salute e il fisico non me l’hanno più permesso. “I giorni della tuta blu” è un libro dedicato a tutti i miei colleghi che prima di tutto sono stati amici, e alla famiglia Bonetti che fece diventare i bottoni il proprio pane quotidiano dando lavoro a molte ragazze e donne di Rudiano e dei paesi vicini.

La malattia, quindi, come occasione di ulteriore ripiegamento interiore?
Fortunatamente ho continuato a scrivere. La fede mi ha dato sempre conforto, la preghiera serenità, una forza che mi aiuta. Ognuno trova un proprio modo. Il mio è questo. Nelle mie opere non ho mai parlato in modo esplicito della malattia, ma nel romanzo breve “La siepe dei gigli selvatici”, il giovane maestro Domenico, mio alter ego, compie un cammino interiore verso una fede più matura e consapevole che dà forza e speranza anche nella malattia, protetto “dall’abbraccio infinito di Dio”.

Vita e morte come unite nel germoglio della speranza
A un anno e mezzo dalla mia nascita ho perso mia madre, non l’ho conosciuta. Mio padre, già capofamiglia a ventun’anni è rimasto vedovo dopo soli tre anni di matrimonio. Dolore e impotenza lo hanno sovrastato quando ha saputo della mia malattia. Per me è stato un faro luminoso. Le poesie “Passi nell’alba sono dedicate a loro”. Nella raccolta di poesie “Concerto” riprendo il tema di giovani vite stroncate, già trattato nel libro “Il fiore della speranza”, ma ora sono le voci dei ragazzi chiamati ognuno per nome a parlare in prima persona, da morti. Per dire: “Ci siamo ancora” e come Dante B. ci racconta “...L’ultima corsa fu a briglie sciolte,/ al primo imbrunire, quando il sole morente/ Tocca l’orizzonte sciogliendolo nel suo abbraccio.”. 

Qual è stata la molla che ti ha portato a scrivere “Argentina ’78”? 
Lo scrivo nel libro. “La nostalgia ci fa ripiegare su noi stessi, la memoria ci apre al domani”. Sono le parole di don Marco Brusca, un caro amico. Forse sono state la molla per iniziare questo libro, che avrei voluto scrivere anche negli anni scorsi, ma qualcosa dentro mi faceva capire che i tempi non erano ancora maturi. Tuttavia, non avrei mai immaginato di iniziarne la stesura dopo aver affrontato un momento piuttosto delicato della mia vita, che mi ha riportato a lei dopo essere statosul baratro della morte.


E l’idea del titolo?
L’idea del titolo mi è venuta perché in quell’estate del ‘78, durante gli esami di Terza media erano in corso i mondiali di calcio in Argentina. L’ho voluto dedicare alle care amiche e cari amici della mia classe, 1964. Parlo delle preoccupazioni e della conclusione degli esami, delle indimenticabili estati passate lungo l’Oglio con don Fattorini. Per sempre Gianmario anche quando diventò preost de la cesa de Ader e insieme a don Pietro, tra i prati del vecchio porto fluviale, con ai piedi le mitiche Tepasport. Le nostre giornate all’oratorio e i campeggi al mare sulla Renault 4 rossa, eccitati come bambini.
Ricordo Urago d’Oglio animato da personaggi come Gino detto Mitra, con il suo motto che fu una profezia: “Dio creò Mitra, poi creò l’inferno”. Il bar de Gervasì con quella vitale confusione di palle da biliardo, timbri metallici dei flipper, canzoni a getto continuo dal jukebox. La Rosina, vedova ancora giovane. Tirava avanti con le grepole e le sue scodelle di trippa sempre pronte, all’osteria Tre corone, la più antica del paese. Vi sedevano i più incalliti giocatori di carte. Il dottor Alberto Sorlini, medico condotto, lo rivedo correre da un paziente all’altro con l’inseparabile borsa marrone e la professoressa di matematica alle Medie, Francesca Benuzzi, tanto brava quanto paziente e comprensiva. Così tante altre figure umane capaci di animare i vicoli e le piazze di Urago d’Oglio nella vita del lavoro quotidiano.

Il fiume ricorre nelle tue opere come un “serpente azzurro” che unisce i borghi e le sue genti.
La mia terra è attraversata dall’ Oglio fiume amato e temuto , come nell’ inondazione del 1976 quando era tracimato sommergendo terre e cascinali o quando inghiottiva nei vortici delle sue correnti persone
amiche. Ma pur sempre un “...fiume amico, ovunque io mi trovi,/davanti a te ogni borgo è la mia casa.” come dico nella raccolta di poesie “Il fiume cantastorie. La saga dell’Oglio e delle sue genti”.

La raccolta è permeata dalla trama simbolica dell’acqua, suggestivo il canto del fiume che si fa preghiera.
Nella poesia di apertura ho voluto che fosse il fiume stesso a presentarsi: “Nasco ogni giorno dai gioiosi monti camuni,/ son vecchio di secoli, così il mio incedere,/ mi disseto da me stesso, riposo alla mia ombra.// Sono il fiume Oglio, disegnato da mano divina.”. Poi percorro i borghi bagnati dalle sue acque: Roccafranca dove la cascata sul fiume “intona il suo perenne e uguale canto”, mentre per la Madonna in Pratis di Rudiano “l’Oglio poco lontano canta la sua lode”. E l’ approdo a Sarnico: “Qui il lago abbraccia il fiume Oglio facendosi tutt’uno” e vi si abbatte la Sarneghera “come un feroce mostro lacustre”. Con i suoi violenti e distruttivi temporali imperversa dalla zona a sud del Lago d’Iseo raggiungendo la Valle Camonica e parte della Franciacorta. Invece verso Torre Pallavicina “La nebbia cala compatta sui campi affiliati,/ corre silenziosa lungo fossati scuri/... Il canto dell’Oglio si è fatto sommesso.”.

Al tuo attivo hai notevoli riconoscimenti.
Ho partecipato a un concorso indetto da Famiglia cristiana con una poesia dedicata a mio padre “Sembravi un sacerdote Maya”, seconda classificata. Nel dicembre 2022 ho ricevuto il Premio Rezzato con la poesia “La pietà” ispirata a un fatto di cronaca: uno squilibrato ha colpito la statua di Michelangelo e deturpato il volto di Maria. Nel volto di Maria ho visto il volto delle donne violate. A Brescia, nell’ambito del Premio di poesia SS Faustino e Giovita, bandito da Fondazione Civiltà Bresciana, una segnalazione di merito ha ottenuto la poesia in dialetto bresciano “La bassa ferìda”. Lo spunto mi è stato fornito dalla devastazione causata da una bomba d’acqua e una tromba d’aria che hanno molto colpito Rudiano e Urago d’Oglio. Il problema dell’ambiente mi sta molto a cuore.

Chi sono stati i tuoi mentori ? Hai in cantiere un’ altra opera?
Sicuramente l’amicizia personale con il poeta milanese Franco Loi, conosciuto a Milano nei primi anni Duemila, grazie all’amica in comune suor Bianca Gaudiano delle Suore Dorotee da Cemmo e la poeta Elena Alberti Nulli mi hanno dato preziosi consigli e un grande incoraggiamento per aprirmi a nuove strade. Ma per ora le mie sette muse ispiratrici sono in ferie. Poi, chissà!
www.claudiapiccinelli.it

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