«Meditate che questo è stato»

L'ennesimo insegnante considera l'obbligo un precedente disumano
Ritratto di Massimiliano Magli

 

Caro Direttore, 
                      in passato le fotografie riempivano album o scatole di latta. Ora riempiono i nostri cellulari. Ogni evento della nostra vita merita uno scatto. Certe volte addirittura si è più impegnati ad immortalare il momento che a viverlo. E tutto per non scordare un luogo, una persona, un fatto, un’emozione. 
Conservare i ricordi del passato ci aiuta a dare un senso al presente. Per questo diventa importante rinnovare la memoria di quegli avvenimenti che hanno lasciato un segno indelebile nella nostra storia. 
A distanza di pochi giorni celebriamo ogni anno “La giornata della memoria” (il 27 gennaio) e “La giornata del ricordo” (il 10 febbraio) per non dimenticare le vittime della crudeltà e dell’egoismo dell’uomo. Con attività diversificate in base alle età, le scuole propongono abitualmente dei percorsi che aiutano gli alunni non solo a comprendere le cause di queste ingiustizie, ma soprattutto li spingono ad interrogarsi su ciò che si può fare nella vita di ogni giorno affinché certe situazioni non si ripetano più. L’obiettivo è quello di rendere il loro sguardo capace di cogliere la ricchezza della diversità per imparare ad accogliere l’altro senza paura. Infatti nella storia è sempre stato “il diverso” ad essere etichettato, emarginato, escluso, punito e persino ucciso, a partire dagli “Indiani d’America”, passando per la schiavitù del popolo africano, fino a raggiungere il momento più degradante con l’olocausto o il massacro delle foibe. Ciò che è importante far comprendere ai ragazzi è soprattutto che certi fatti atroci si sono verificati perché il mondo intorno è rimasto indifferente alla sofferenza di chi, in quel periodo storico, era ritenuto talmente diverso da non essere più considerato nemmeno un uomo. Più gli alunni sono piccoli, più diventa fondamentale non soffermarsi tanto sugli atti di violenza che sono stati compiuti, quanto sul modo in cui tutto ha avuto inizio. E così saranno vicini alla piccola Liliana Segre quando una sera il padre le dirà che non potrà più andare a scuola. Saranno nella soffitta insieme ad Anna Frank, mentre raccoglie nel suo diario le speranze di una ragazza che all’improvviso ha dovuto rinunciare alla sua quotidianità. Proveranno lo stesso stupore del tenero Giosuè quando leggerà su un negozio il cartello “Vietato l’ingresso agli ebrei”. Percorreranno carichi di valigie la stessa strada degli esuli istriani, costretti a lasciare la terra in cui erano cresciuti, divenuta ad un tratto straniera e inospitale. Proseguendo col percorso scolastico i ragazzi saranno chiamati a riflettere su come la sete di potere e la presunzione di essere migliori abbiano portato alcuni uomini ad opprimere interi gruppi di persone, colpevoli solo di avere un altro colore della pelle, un’altra religione o una diversa appartenenza politica.
“Meditate che questo è stato” grida Primo Levi nella sua famosa poesia, ma la realtà che viviamo oggi sembra dimostrare l’esatto contrario. Stiamo nuovamente discriminando delle persone solo perché provengono da un Paese lontano o perché hanno fatto una scelta diversa da quella che la maggioranza ritiene giusta. Stiamo privando persone come noi dei loro diritti fondamentali senza fermarci a pensare come sia difficile la loro vita in questo momento, come si sentano umiliati, rifiutati, soli e impotenti. Ancora una volta l’indifferenza e la rabbia stanno creando divisioni e ferite che difficilmente si potranno rimarginare. È nel momento in cui ci convinciamo che la discriminazione non sia solo giusta, ma perfino meritata, che cominciamo a perdere l’essenza della nostra umanità e non vediamo cosa accade a chi ci sta accanto. Non vediamo chi ha perso il lavoro, chi non può salire su un treno per andare a scuola, chi non può entrare in un negozio, chi non può più vivere la sua normale quotidianità o chi ha attraversato un intero mare perché nella sua terra non aveva più speranze. Quando si distoglie lo sguardo dall’altro ha inizio l’indifferenza. Quando l’indifferenza si mescola alla paura genera odio. Ma prima di cadere di nuovo nel tranello del male, che ci rende ciechi ed egoisti di fronte alle sofferenze di chi ci sta vicino, dovremmo ricordare che tanti anni fa un uomo ci ha spiegato la vita usando poche e semplici parole: “Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. Lui non ha messo vincoli a questo amore, ha sacrificato la sua vita per noi lasciandoci un solo compito: “Fate questo in memoria di me”.
Fare memoria di Gesù ogni giorno significa ricordare che, anche se gli uomini prima di noi hanno commesso dei grandi errori, noi siamo chiamati ad essere migliori, a cercare nell’altro ciò che lo rende speciale, ad accogliere la sua storia e la sua diversità per costruire insieme un mondo di cui Dio possa finalmente essere orgoglioso. 

Chiara Zani (*insegnante)

Vota l'articolo: 
Non ci sono voti