Angelo Vezzoli poeta del fiume e delle sue genti
Angelo, dalle tue opere che ho letto con piacere e coinvolgimento emerge una passione autentica per la scrittura. Quando e perché hai iniziato?
Rispondo con le parole del mio primo libro di poesie “Il fiore della speranza”: “per sentirmi meno solo quando, nel silenzio della mia casa, la paura per il domani si fa opprimente”. La scrittura è sempre stata una terapia, un modo per esprimermi. Non sono mai stato loquace. A tredici anni ho contratto la distrofia muscolare. Ho dovuto fare i conti anche con la malattia, imparare a conoscerla, accettarla in modo graduale. Ci ho convissuto, ma sapevo che avrebbe cominciato lei a dirigere l’orchestra. Ludmila, una signora moldava, mi assiste da tredici anni nella quotidianità.
Un operaio metalmeccanico poeta e scrittore, non è da tutti.
Ho abbandonato la scuola superiore e sono diventato operaio alle officine meccaniche Bonetti Macchine per bottoni di Rudiano. Così l’ultima campanella dell’inizio delle lezioni ora veniva sostituita dall’urlo lamentoso della sirena di fabbrica. Dopo quasi trent’anni la salute e il fisico non me l’hanno più permesso. “I giorni della tuta blu” è un libro dedicato a tutti i miei colleghi che prima di tutto sono stati amici, e alla famiglia Bonetti che fece diventare i bottoni il proprio pane quotidiano dando lavoro a molte ragazze e donne di Rudiano e dei paesi vicini.