Il dono: a Rovato accadde 78 anni orsono

Ricordo: 1937
Ritratto di mavi

Io, ma solo io bambino, le abitazioni di quei tempi le suddividevo in tre categorie: Lussuose le ville e i palazzi seicenteschi ben tenuti (pochi); Belle o quasi laddove negozi o occupati da dipendenti pubblici o similari; Povere per i tantissimi poveri. Di certo che il confronto per ognuna delle tre era abissale.
La mia, per esempio, era una “Signora” casa avuta in affitto sebbene la mia famiglia fosse inclusa nei meno abbienti.
Si diceva che lo storico critico politico C. Cantù avesse scritto parte della sua “Storia Universale” proprio nei tre vani da noi occupati.
Una stanza a volta alta e spaziosa; un’altra pure ampia e infine l’ultima di ridotte dimensioni, ma ricca di un camino.
Nella parete Nord a confine con la strada, due finestre: una piccola in alto, l’altra di normali dimensioni più in basso.
In un’altra, frontespizio il caminetto una povera stufa in cemento a lato della quale una cassetta per la legna.
Tra le due finestre una molto ridotta catasta di legna per la stazione del freddo come quella che siamo a narrare.
Nel mezzo del “Cucinino”, un tavolo di minime dimensioni e 4 sedie.
Non rimaneva altro spazio. Ma il piccolo vano era basilare per il risparmio della legna a riscaldare dove ci stavamo per tutte le ore diurne.
Niente luce elettrica, a rischiarare il buio una lucerna a petrolio che veniva spostata altrove quando si andava a letto.
Niente acqua corrente, per averla bisognava scendere per la strada e percorrerla dal civico n°21 fino la via Bettini laddove c’era una pubblica fontanella.
Percorso di 230 per arrivare, altrettanti per tornare.
Così anche quando la strada in acciottolato era totalmente ricoperta da uno strato di ghiaccio che si formava da metà dicembre (inizio nevicate) resistendo sino ai primi di marzo.
Sempre alimentato di rigagnoli in discesa dal monte. E per noi bambini portare uno o anche due secchi d’acqua non era facile.
Credete. E quando capitava di scivolare sul fondo ghiacciato naturalmente i secchi si svuotavano bagnando a noi poveri tapini scarpe e calze.
In siffatto stato si ritornava sui passi a rifare il pieno.
Giusto è anche sapere che in quegli anni il freddo era glaciale: toccava anche -15°!
Così ci dicevano le maestre. Questo era vivere da poveri in casa di poveri.
Languore, tanto, pensare a chi occupava le “Ville”: ambienti riscaldati con caloriferi; luce elettrica che poteva illuminare dentro e fuori.
Bastava premere un bottone e tutto era luce.
L’acqua in ogni dove ritenuta comoda.
Persino la vasca da bagno, chissà che bello lavarsi con l’acqua calda!
Anche noi non avremmo più frignato come si faceva quando la mamma ci lavava collo e orecchi con acqua gelida o quasi.
Beati quei bambini come noi che sedevano sugli stessi banche di scuola.
E poi ancora: la radio, anche quella.
Ecco, si pensava, perché sono più intelligenti di noi, sono più puliti, bravino e sanno tutto giusto, alla fine l’ossequio  e il rispetto a loro.
Questo era il normale vivere nelle ville e i giudizi di noi bambini.
E nei palazzi dagli stanzoni enormi, seppur tanto tetri e cupi.
Magari come la loro storia. Due, tre stufe “BECHI” a più piani ricoperti di lucida ceramica color verdone o rosa scuro.
Consumavano tanta legna però riscaldavano tanto, ci spiegavano convinti.
Dimenticavano però soggiungere che a loro la materia prima non costava niente o quasi.
Nessuna fatica neanche per il trasporto perché provvedevano i salariati agricoli alle loro dipendenze.
Questo voleva dire vivere nei palazzi seicenteschi tramandati a costo zero da una generazione all’altra.
Infine le case “Belle” occupate da dipendenti pubblici di ogni categoria, negozianti piccoli e grandi.
Per la maggioranza erano ubicate nel centro storico dove non mancavano servizi primari di igiene e altre comodità.
Belle per davvero e pulite. Poche con termosifoni, ma a riscaldare quando necessario bellissime stufe rivestite con pannelli bianchi e forno più spazioso perché oltre la legna bruciavano pannelli di carbone cock di 20 cm.
Con impressa marca “UNION” e due martelli incrociati.
Fotogrammato il tutto (o quasi) ritorniamo nel “Cucinino” povero dove si consumò un qualcosa di speciale.
Stavo con la mamma, soli. Papà era all’estero per lavoro.
Prima di andare a letto si soleva recitare il S. Rosario, solo in latino.
Beh, per un bambino di 7 anni non era sempre il massimo.
Stanco di gioco perché tanto si giocava, assonnato, infreddolito.
Per mamma inoltre la preghiera aveva ancora più valore semmai accompagnata da un fioretto, da un piccolo sacrificio; nel caso specifico pregare in ginocchio sulla sedia.
Forse quella sera avrò anche avuto abrasioni sulle gambe, non so dire oggi. Non ricordo.
Di certo non mi andava di recitare il Rosario.
50 Ave Maria, 5 Pater Noster, i misteri gloriosi, gaudiosi, dolorosi, le litanie, i Santi, i Morti, i vivi che soffrono, le mamme che piangono, gli infedeli da convertire come faceva P.  Comboni (allora anche i maomettani erano da portare sulla retta via, oggi non so.
E qui mi taccio.)
No, proprio non ne volevo sapere.
La mamma stava inginocchiata sulla sedia, anch’io a lei di fronte.
Entrambi con gomiti appoggiati sul piccolo tavolo.
AVE MARIA…
Santa Maria…
Gloria Patri…
Sicut erat in principio…
Pater Noster,
Angele Dei,
Ecce Ancilla Domini,
Requiem Aeterna,
e così via con tanti Santi del Paradiso.
Invento il mal di pancia, piagnucolo.
Niente da fare.
Mamma è tosta, vera valligiana bergamasca.
Imperterrita continua snocciolare la corona color nero e pregare “Ave Maria, gratia plena...”.
Ancora piagnucolo, solo borbotto: Santa Maria, Mater Dei…
Quasi invoco comprensione, ma non la cerco perché di nulla soffro, me n che meno mal di pancia.
Però mi compensa, essì. Inaspettatamente.
Di un grande dono che ancor oggi serbo tutto per me.
Ero piccolo e, ripeto, lei di fronte.
Sento solo per un attimo le sue labbra sulla mia testa: un bacio, solo uno, senza schiocco, leggero, poco più di un soffio.
Ecco, così me lo elargì. Chissà se avrà sorriso alla mia infantile bugia o avrà inteso lenir quel mal di pancia inventato.
Son passati 78 anni: ville e case belle oggi pianificate, vecchi palazzi abbattuti e sulle macerie ricostruiti immobili di nuove concezioni, il povero cucinino fagocitato da ristrutturazione, luce e servizi nelle case in ogni dove o quasi, l’acqua compresa arricchita di spreco, nel meteo “TEMPERATURE MINIME IN FORTE AUMENTO” mutazioni epocali anche nelle stagioni.
Solo la parte significativa dello spaccato non è stata né cancellata né sfiorata.
Il dono,quel dono elargito con grazia soffusa nella piccola disadorna stanzetta sta’ ancora nella mente e nel sentimento di chi beneficiato: indelebile.

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