Questa sera, dal convento, si vede il Monviso

Ritratto di mavi

Questa sera, dal convento, si vede il Monviso,
come una freccia puntata contro il tramonto
che ci ripaga delle foschie che hanno avvolto
i nostri occhi nell’oppressione del giorno

ma tutti gli altri, intenti ai loro tasti,
nell’attesa di qualche arrivo o qualche partenza,
provano ad essere anche questa volta invisibili,
e chiamano un numero che sperano sia occupato.

*

sono rimaste le bandierine di plastica,
appese a un filo, sopra le vie di San Rocco;
la festa è finita, ma nessuno
le ha finora avvisate, così loro
continuano a tremare al piccolo vento,
per la piccola felicità
di chi prova a tenere gli occhi alzati da terra.

*

quando, in colonna, all’incrocio per l’autostrada,
una Punto decrepita ha tentato
all’improvviso un taglio di corsia,
e tu le ha fatto spazio, rallentando la fretta,
un braccio nero si è sporto dal finestrino,
e una mano, stringendo l’aria, ti ha ringraziato

hai risposto con un cenno, e per un istante
il traffico ha interrotto la sua ingordigia:
i ponti più coraggiosi non hanno bisogno di parapetti.

*

con l’altra mano tengono premuto
contro il braccio un batuffolo di cotone,
escono dal cancello di via Màcina
con lo sguardo circospetto e impaurito

hanno appena confessato ad un ago
le più estreme verità su se stessi.

*

il cane Gluck che mi ha accompagnato
per sedici anni
con le umide carezze del suo fiato,
passati i giorni non si è fatto da parte,
com’è d’uso per chi ha in sorte di sbiadire:
ancora mi è accanto
in altre forme ma con la stessa dedizione.

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