Auto elettrica: la ricerca di Filippo Zuliani

Tutte le case automobilistiche mondiali sono impegnate in percorsi ecologici, molti dei quali includono lo sviluppo dell’auto elettrica. L’assente probabilmente più noto in materia è FIAT, come più volte chiaritoda Marchionne, ma anche altri.
A parole, tutti concordano che l’auto elettrica è una di quelle cose che farebbe bene all’ambiente. Nei fatti, pochissimi ne comprano una. Nonostante gli incentivi, infatti, dall’inizio dell’anno infatti le vendite di Nissan Leaf e Chevrolet Volt – campioni della categoria – negli Stati Uniti si sono fermate a solamente circa 10mila unità, in Italia i veicoli elettrici immatricolati nel 2011 sono stati 103. Per darvi un paragone, negli USA si vendono circa 10 milioni di veicoli all’anno mentre solo in Italia si vendono quasi 200mila FIAT Punto all’anno (1).
Non è la prima volta che l’auto elettrica è sembrata pronta al debutto. All’inizio degli anni 90, General Motors, grazie ai sussidi dell’amministrazione Clinton, introdusse sul mercato americano l’elettrica EV1. Ma nonostante le numerose richieste di noleggio e i feeback positivi degli utenti, i 5000 pre-ordini si tramutarono in solo 50 acquirenti, motivo che indusse GM a sospendere la produzione del veicolo, generando furiose polemiche con ambientalisti e complottisti.
Le previsioni elaborate dai centri di ricerca sul numero di veicoli elettrici in circolazione nel futuro prossimo sono una di quelle cose dove regna il disaccordo più totale. Per il 2020, infatti, gli studi prevedono una diffusione dell’auto elettrica (o ibrida plug-in) che va dallo zerovirgola fino al 25 per cento del totale. Per il 2050 ancora peggio: le percentuali di vendite stimate variano dal 20 all’80 per cento. Questo accade perché le stime vengono generalmente fatte ragionando sul fronte della domanda. Si stima cioè la disponibilità dei consumatori a pagare di più per prodotti ecologici e si tramuta questa disponibilità in numero di veicoli venduti. Coi risultati di cui sopra.
Il problema è che il prezzo, anche se conta, non è tutto. Ragionando sul fronte dell’energia le cose diventano molto più chiare. Insomma, vendite al 10 o 20 per cento del totale del mercato significa considerare l’auto elettrica un prodotto di massa, maturo al pari di GPL e metano, e come tale deve essere attrezzato per autonomia, infrastrutture e consumi. La domanda da porsi dunque è: quali sono le condizioni tecnologiche per una motorizzazione di massa basata sull’auto elettrica?
Il problema dell’auto elettrica
La Nissan Leaf è stata eletta Car of the Year 2011 qualche mese fa ed è oggi probabilmente l’auto elettrica più diffusa. Simile per dimensioni e peso alla Volkswagen Golf, la prenderemo a modello da qui in avanti. Andiamo direttamente al nocciolo del problema dell’auto elettrica: la batteria, o, meglio, il suo costo e l’autonomia che garantisce. La batteria della Leaf è di quelle moderne agli ioni di litio: capacità 24 kWh, ha un costo stimato di 18mila dollari (2) e consente di percorrere circa 120 o 130 chilometri, decisamente pochi. Per cui, data la mancanza di una infrastruttura di ricarica, o si pianificano attentamente gli spostamenti o si corre il concreto rischio di rimanere per strada. In pratica, un’autonomia così limitata è un limite molto pesante alla flessibilità d’utilizzo e mal si adatta alla moderna società dei trasporti. A peggiorare le cose, i test mostrano che con un “pieno elettrico”, cioè con la batteria carica, l’autonomia varia da 75 a 220 chilometri in diverse modalità di utilizzo (3). Questa incertezza ha originato il fenomeno della “range anxiety”, la paura di rimanere a piedi, magari nel momento meno opportuno, per inaspettato esaurimento della batteria.
I motivi sono facilmente spiegabili. In un’auto che viaggia a velocità costante – ignoriamo per ora accelerazioni e frenate – l’energia viene usata per compensare le perdite dovute a essenzialmente quattro motivi:
- Resistenza dell’aria;
- Resistenza di rotolamento delle ruote (quella che vi evita di finire dritti in curva quando sterzate);
- Perdite nella trasmissione (inverter, motore, cambio, cuscinetti);
- Perdite ausiliarie (luci, display, ventole di raffreddamento, eccetera).
I primi due termini sono quelli più importanti. Ad alte velocità, infatti, l’energia viene essenzialmente usata per vincere la resistenza dell’aria, che aumenta come il quadrato della velocità. Raddoppiando la velocità, si spende quattro volte più energia per vincere la resistenza dell’aria. A basse velocità, invece, l’energia viene essenzialmente consumata dall’attrito delle ruote, proporzionalmente al peso dell’auto. Il calcolo preciso di questi termini è molto complesso e richiede la conoscenza di molti parametri generalmente noti solo ai costruttori. Per chiarire le dinamiche in gioco, però, anche un calcolo semplificato è sufficiente allo scopo.
La tabella sotto mostra l’energia usata della Nissan Leaf per percorrere 100 km a velocità costante e la relativa autonomia. Guardatela bene, poi facciamo alcune considerazioni.
Energia
A basse velocità (50 km/h) la resistenza dell’aria conta poco. Come scritto sopra. Il consumo dell’auto è basso e l’autonomia è di circa 175 km. A velocità medie (80 km/h) la resistenza dell’aria comincia a farsi sentire: l’energia usata aumenta del 50 per cento e l’autonomia cala di conseguenza a 130 km. Questo valore è molto vicino all’autonomia media segnalata dagli utenti – tra i 120 e i 140 km – a conferma della funzionalità del modello. Ad alta velocità (120 km/h) l’autonomia crolla a 90 km, come confermato dautenti americani. La ragione, come scritto sopra, è la resistenza dell’aria, che aumenta come il quadrato della velocità e fa impennare i consumi.
Allora basta andare piano? In fondo, dove si arriva in due ore si arriva anche in quattro. Non così in fretta. Primo perchè in autostrada a 50 km/h non potete proprio andare. Inoltre, tenere anche una più moderata velocità di 80 km/h vuol dire farsi sorpassare di continuo dai camion. Chiunque sia mai stato in autostrada sa bene quanto questa situazione sia pericolosa. In pratica, in autostrada siete obbligati a tenere una velocità sostenuta, aumentando i consumi e limitando l’autonomia dell’auto elettrica. Va aggiunto che in molti paesi europei l’autostrada è una scelta obbligata negli spostamenti extraurbani. Per quanto riguarda la guida cittadina le cose non vanno meglio. E’ vero che la velocità è generalmente ridotta, ma è anche vero che frenate e accelerazioni costano energia – e molto, nonostante il parziale recupero in decelerazione o col sistema Start-Stop – e sono molto più frequenti che non in autostrada (semafori, pedoni, ingorghi, eccetera). Insomma, anche in città ben difficilmente l’autonomia supera i soliti 120 o 130 km.
La grande differenza della batteria rispetto alla benzina sta nella densità di energia accumulabile e quindi nell’autonomia garantita al veicolo. Numeri alla mano, le moderne batterie agli ioni di litio hanno una capacità di circa 140 Wh/kg, mentre la densità di energia della benzina è di 12000 Wh/kg, 80 volte maggiore. Questo è da sempre l’enorme vantaggio della benzina sull’elettricità, e il motivo per cui la mobilità si è sviluppata attorno alla prima: perchè la benzina contiene molta più energia e, conseguentemente ma non solo, è più pratica da trasportare.
Intendiamoci, è possibile che domani le cose cambino. Togliendo tutti i camion dalle autostrade e abbassando i limiti di velocità le cose potrebbero volgere a favore dell’auto elettrica. O la scoperta di una nuova batteria con capacità due o tre volte maggiore degli ioni di litio (e costo possibilmente al di sotto della stratosfera). Purtroppo oggi nessuna di queste è in vista nel breve periodo. Il che sottolinea, ce ne fosse bisogno, l’importanza della ricerca.
Peso e materiali
Maggiore il peso dell’auto maggiori i consumi e, dunque, minore l’autonomia. Probabilmente lo sapete tutti. Questo avviene perchè il peso dell’auto grava sugli pneumatici che, quando si deformano,dissipano energia sotto forma di calore. La Nissan Leaf pesa circa 1500 chili, di cui quasi 200 di batterie. Raddoppiando la batterie si raddoppiano anche le perdite, oltre a raddoppiarne il prezzo per l’utente (e son altri 18mila dollari). La maggior parte del peso deriva dall’acciaio di cui è costituita la carrozzeria. Chi pensa che sia lusso e ostentazione si sbaglia. Il peso della carrozzeria deriva principalmente dagli standard di sicurezza, per evitare di passare a miglior vita al primo incidente.
Per ridurre il peso dell’auto è possibile usare materiali avanzati quali – in ordine crescente di costo e decrescente di peso – acciai ad alta resistenza, leghe di alluminio e plastica riforzata con fibra di carbonio (CFRP). L’acciaio ad alta resistenza è già usato nelle auto di segmento medio alto, l’alluminio è usato per le parti strutturali degli aerei e le CFRP nelle auto di Formula Uno.
La Tesla Roadster è probabilmente l’auto elettrica più avanzata esistente. Aerodinamica sportiva, dimensioni ridotte (è una due posti), costruita in alluminio e CFRP, monta una batteria da 53 kWh, più del doppio della Leaf. Nonostante la batteria pesi 400 kg, grazie all’impiego dei materiali avanzati la Roadster pesa solamente 1200 kg ed ha un’autonomia di oltre 400 Km. Tutto perfetto, se non fosse il prezzo: 100mila dollari. Oltre alla batteria, purtroppo anche i materiali avanzati costano un sacco.
La sfida del peso dunque si gioca non solo sul fronte delle batterie, ma anche sui materiali avanzati. La strategia intrapresa da alcune case automotibilistiche (tra cui BMW e Audi) mira a introdurre i materiali avanzati nel mercato di massa, riducendone il costo tramite nuovi sistemi produttivi. Purtroppo la possibilità che un’auto costruita con alluminio e CFRP riesca a costare come un’auto convenzionale è ancora remota. Perfino BMW, che ha cominciato a produrre da sola la fibra di carbonio per la sua serie-i elettrica, prevede una produzione massima di 50mila unità all’anno. Il che corrisponde ad abbassare i prezzi della CFRP a “solo” due volte quelli dell’alluminio, che a sua volta costa tre volte più dell’acciaio. Detto altrimenti, ben difficilmente queste auto verranno poste in vendita a meno di 30mila euro. E’ dunque probabile che, per almeno un decennio, i costruttori d’auto continuino ad usare acciaio per la carrozzeria delle auto, possibilmente ad alta resistenza, più pesante di alluminio e fibra di carbonio ma più economico. Confrontando le 50mila unità previste per la serie-i con il milione e mezzo di vetture che BMW vende ogni anno si ottiene una buona stima della diffusione dell’auto elettrica e dei materiali avanzati secondo la casa tedesca: numeri alla mano, poco più del 3%.Tutto questo salvo effetti del picco del petrolio, ovviamente.
Ricarica
L’auto elettrica si ricarica di notte, quando i consumi sono bassi e l’elettricità costa meno. Quante volte avete sentito questa frase? Molte, è uno dei mantra dei sostenitori dell’elettrico. Vediamo i numeri.
In Italia circolano circa 35 milioni di auto. Se il 25 per cento fossero elettriche – la stima migliore per il 2020 – si consumerabbero circa 30 TWh di energia elettrica l’anno, che è meno di un decimo della produzione nazionale, per cui nessun problema. Guardando però alla potenza assorbita le cose cambiano. La Nissan Leaf monta una batteria da 24 kWh. Ricaricarla di notte significa assorbire una potenza di 3 kW per 8 ore dalla rete elettrica. Nove milioni di auto in ricarica – il 25 per cento del totale di cui sopra – assorbirebbero una potenza di 27 GW dalla rete. La potenza installata in Italia è di 106 GW, e il carico di notte è di solamente 25 GW (4), per cui ancora nessun problema. L’operazione di ricarica casalinga non è complessa, ma necessita di un box auto personale, cosa tutt’altro che scontata in città. Se non avete un box, vi serve un sistema di ricarica rapida, con cui ricaricare la batteria in pochi minuti (come si fa oggi con la benzina) o una colonnina di ricarica. E qui arrivano i problemi.
L’Europa sta investendo molto nei sistemi di ricarica rapida. Gli standard moderni mirano a raggiungere prestazioni di ricarica dell’intera batteria in 15 minuti. Conseguentemente, la potenza assorbita dalla rete aumenta a 100 kW per auto. Se la metà di quel 25 per cento di auto elettriche effettua una ricarica veloce contemporaneamente – per esempio la mattina, prima di recarsi al lavoro – la potenza totale assorbita dalla rete elettrica durante quei 15 minuti di ricarica arriva a 450 GW. Il quadruplo dell’intera potenza nazionale installata, e black-out assicurato. Ovviamente questo è un caso limite: la possibilità che l’intero parco elettrico carichi assieme a batteria è praticamente zero. Tuttavia, anche considerando la ricarica al netto del fattore di contemporaneità, è molto probabile che il dimensionamento della potenza necessaria nelle ore di punta superi i 100 GW, che è il totale dell’intera potenza installata nazionale. Detto altrimenti, a meno di non installare appropriati sistemi di accumulo dell’energia, in grado di conservare l’energia necessaria ed erogarla al momento opportuno, un’infrastruttura di ricarica veloce per milioni di auto elettriche è probabilmente destinata a scontrarsi con la realtà fisica della rete elettrica.
Ora le colonnine. Quante ne servono? Se ogni colonnina può ospitare quattro veicoli, per ricaricare la metà di quel 25 per cento di auto elettriche – l’altra metà, ottimisticamente, possiede un box auto privato – sono necessarie oltre 1 milione di colonnine a basso voltaggio. Per contro, in Italia ci sono 22mila distributori di benzina e sono più che sufficienti allo scopo. Questo fa ben capire quanto siano diverse le necessità dell’auto elettrica da quelle dell’auto convenzionale e quanto lontani dalla realtà siano gli annunci trionfanti per l’installazione di qualche decina di colonnine di ricarica per intere città o, peggio, intere provincie o regioni.
Tirando le somme
Quali sono le condizioni tecnologiche per una motorizzazione di massa basata sull’auto elettrica? Eravamo partiti da qui, e siamo arrivati a questo:
Il problema dell’auto elettrica è la batteria. Allo stato attuale della tecnologia, la batteria costa e pesa un sacco e consente un’autonomia ridotta. Investimenti sono dunque auspicabili nella ricerca di nuove batterie di più elevata capacità o di materiali avanzati dal costo contenuto. O tutti e due. Inoltre la presenza di una robusta infrastruttura di ricarica – centinaia di migliaia di colonnine, non decine – e sistemi d’accumulo dell’energia è condizione necessaria alla diffusione dei veicoli elettrici nel mercato di massa.
Che succede in caso di impennata incontrollata dei prezzi del petrolio per l’esaurimento delle risorse? Data la limitata autonomia, l’utilizzo dell’auto elettrica è principalmente ristretto all’agglomerato urbano. Se il petrolio dovesse esaurirsi prima del previsto, i governanti del mondo intero non avrebbero altra scelta che chiudere progressivamente ma fermamente le città ai mezzi a benzina/diesel, limitando l’uso dei carburanti fossili alle lunghe percorrenze extra-urbane.
Perché non farlo ora? Per due motivi semplici: primo perché l’industria dell’auto è una delle piú grandi del mondo e con le sue tasse si pagano tante cose (sanità, pensioni, assistenza, spese militari, eccetera). Secondo, perchè oggi un’alternativa elettrica di pari efficienza e capillarità delle infrastrutture alla mobilità a benzina semplicemente non è ancora pronta.