Il container per il Nepal non è mai partito

Troppe le grane burocratiche ma i volontari hanno risolto
Ritratto di Redazione

Era l'orgoglio di un'intera comunità, quella di Chiari, e dei tanti volontari che avevano collaborato per allestirlo. Parliamo del maxi container con abbigliamento e generi di conforto da inviare in Nepal, dopo i ripetuti terremoti della scorsa primavera.
Si apprende ora che quel container non è mai partito per il Nepal ma è stato smembrato e redistribuito in Italia.
Una beffa figlia di una logistica di Stato praticamente nulla. Questa pare essere la giustificazione prevalente tra volontari ma anche soccorritori professionisti che avevano aiutato i Ribelli di Chiari, questo il gruppo volontario che aveva avviato la raccolta di beni da spedire in un Paese straziato.
Le difficoltà erano apparse evidenti già nei primi quindici giorni successivi all'allestimento del container, quando venne coinvolto anche Beppe Begni nel tentativo di fargli coordinare la spedizione di quel grande cassone di generosità. Volontario dei vigili del fuoco di Chiari e attivo alla Rarahil school di Kirtipur (in Nepal) tra maggio e aprile parti due volte per questo Paese: la prima volta per lavori di manutenzione alla scuola promossa dall'alpinista Fausto De Stefani, la seconda per aiutare le popolazioni dopo il sisma.
«Quel container non è mai partito – spiega Begni – e rappresenta un insegnamento per il futuro. Grazie al cielo la volontà dei nostri ragazzi ha consentito di liquidare un bene per circa 50 mila euro e di ricavarne circa 22 mila euro da inviare in Nepal, così da non vanificare giorni e giorni di lavoro e di raccolta».
Una notizia che, nonostante la pezza messa in ultimo dai volontari, finisce per lasciare di sasso, per quanto spesso tanti sforzi finiscano in polvere per ragioni assurde.
Infatti inviare il container in Nepal era diventato ormai un'impresa e anche una volta spedito il rischio era grande. «Ogni container doveva essere spedito a indirizzi di villaggi e famiglie precisi – spiega Begni -, e i volontari che hanno realizzato quest'opera di generosità non potevano certo spendere 10 mila euro per spedirlo. A questo punto hanno provato varie strade ma purtroppo in Italia l'aeronautica militare in questo senso non pare esser stata molto collaborativa. Voli verso il Nepal da aeroporti militari ce ne ne sono stati e se ci fosse stata la disponibilità ad accogliere qui i container la spedizione sarebbe stata uno scherzo».
Ma forse anche motivi di sicurezza e tempistiche troppo lunghe hanno impedito di aprire le porte dei principali scali militari italiani.
Ma non è tutto: «E' un bene comunque che queste merci siano rimaste in Italia, magari svendute ma comunque utili a monetizzare una cifra importante. Ho saputo di interi cassoni marcire in Nepal anche per le condizioni meteo, con tessuti e abbigliamento devastati dalla muffa per le notevoli escursioni e l'umidità portata dalle stagioni monsoniche».

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