I facchini, antico lavoro scomparso a Iseo

L’economia iseana è vissuta per decenni sul lavoro nei servizi e quindi sui posti in ferrovia, all’Ospedale, negli uffici statali del Registro, delle Imposte e Catasto, nel commercio e nell’interscambio con il territorio circostante, con tutto il lago fino alla Valle Camonica.
Il carico delle merci dalla ferrovia ed i barconi del lago necessitava la presenza e disponibilità di particolari lavoratori, addetti senza orario e contratto al sacrificio più pesante: i facchini.
Figure di uomini raccontate con delicata narrazione da Tullio Bonfadini nella serata al “Caffè Letterario” del bar Porto a maggio dello scorso anno, conversazione e lettura che il Giornale di Iseo ha già avuto modo di anticipare con il testo-ricordo delle lavandaie.
Chi fossero “i facchini” e come gestivano la loro giornata di duro lavoro è riprodotto nel testo qui trascritto, da leggere tutto d’un fiato.
Al cronista è stata data in visione una particolare caricatura di “Ceco Canara”, pensata da Micio Gatti negli anni ‘50, che riassume il personaggio, facchino per destino e per scelta di vita.
FACCHINI
Dove siete, uomini forti, sempre pronti ai lavori più pesanti?
Spesso considerati dei “perdigiorno”, eravate invece insostituibili, perchè quei lavori duri li facevate solo voi, naturalmente purchè limitati nel tempo, che voi passavate per lo più nei vostri “uffici”, da Piùsna, dalla Rossa “visì al cine en piassa”, al Circol, all’Ancorina sòl port o dal Capo, dal Tabachì o al Bùsilì.
In quei ritrovate attendavate le chiamate, alle quali rispondevate dopo aver trattato il prezzo del servizio,che ogni volta subiva aumenti, che giustificavate con argomentazioni e, per furbizia, sembravano dettate da esperti sindacalisti.
Gli sforzi concentrati ed intensi (i sacchi di farina allora pesavano 100 Kg.ì) sulle barelle di sabbia, da portare dal barcone a terra, “sò le andadùre (le assi che collegavano le barche alle banchine, spesso così elastiche che sembrava vi allungassero ad ogni passo le braccia !), avevano lasciato sui vostri corpi segni ben più evidenti di quelli originati dai calici !
Avevate dei nomi di battaglia incredibili: Benola, Mesaanta, Galiurna, Menaco, Galina, Geniotreno.
E poi tu ,il mio preferito, per lo sportivo che sortivi sottovoce con molta parsimonia o forse, perchè ti conoscevo personalmente, per i servizi che facevi a mio papà, che ti chiamava per scaricare i camion di farina.
O forse perchè allora, per gioco da ragazzo, riuscivo ad imitare in qualche modo la tua voce nelle “arringhe alla luna” contro il solito bersaglio. Sempre lei, tua sorella, che con grande frequenza doveva intervenire,con pazienza e lunghe argomentazioni, per riportarti a casa e salvarti da imprecazioni di ogni genere, che uscivano dalle finestre della piazza.
Sei tu, Ceco Canara, alias Francesco Stefini, con il tuo inseparabile berretto con la visiera un pò alta sulla fronte e la sigaretta penzolante in bocca.
La vostra presenza, come detto, spesso da alcuni mal vista, era invece parte della vita vissuta di allora, quando era più difficile sottrarsi al destino tracciato da condizioni di indigenza e povertà |
Anche se da bambino, quando venivate nel pastificio mi facevate paura con quei volti austeri mai illuminati da un sorriso, rimanete nei miei bei ricordi di un porto Gabriele Rosa pieno di vita e di animazione, create dall’andarivieni dei barconi dai quali caricavate e scaricavate ogni sorta di mercanzia, agli ordini però degli armatori delle “naf” ( così venivano chiamate queste grandi imbarcazioni da trasporto ).
Come voi, questi nochieri erano parte di un mondo di personaggi pittoreschi.
Come il timoniere “ Bereta”, con il fazzoletto rosso al collo e il leggendario “Pam”, un omino alto così che già allora, oltre la bandana in fronte, esibiva un lucente orecchino al lobo !
Voglio lasciarvi con un consiglio: se lassù doveste vedere una nuvoletta con una ghirlanda dorata appesa, non pensate all’aureola dimenticata lì da qualche Santo, ma prendetela come segno... divino e saliteci sopra. Forse è davvero l’insegna de “òn licinsì”! (scritto e presentato da Tullio Bonfadini - Iseo).