Le "sberle" di Padre Marcolini

Ritratto di Deborah

Ho avuto modo di conoscere e frequentare Padre Ottorino Marcolini durante il mio periodo scolastico all' ITIS di Brescia dal 1947 al 1952. Ufficialmente Padre Marcolini era l'insegnante di religione, ma praticamente era molto di più: era una “istituzione”. Organizzava gite scolastiche, visite a varie aziende industriali, soggiorni estivi e invernali, spettacoli e periodi di raccoglimento.  Durante l'ora di religione debordava spesso verso altre materie. Prima del sacerdozio, vocazione acquisita da adulto, era stato ingegnere dirigente alla Centrale del Gas di Brescia ed aveva una notevolissima preparazione scientifica e matematica. Noi ragazzi gli sottoponevamo dei quesiti su argomenti di matematica o fisica che non avevamo ben recepito e Lui, uomo intelligentissimo e sempre disponibile, ce li illustrava dettagliatamente con notevole chiarezza e semplicità. Come persona aveva un aspetto piuttosto modesto. Sembrava un prete di campagna. Indossava sempre una tunica di taglia rusticana, tenuta sollevata in vita da una cinghia. Calzava un paio di grosse scarpe sformate, perché camminava caracollando a passo lungo e abbastanza velocemente, come se fosse sempre in ritardo a qualche appuntamento. E veniamo alle “sberle” di cui voglio parlare, che sono di due tipi: sberle vere e proprie e sberle orali; tutte a scopo benefico. Le prime le ricevetti personalmente con alcuni miei compagni del 5° corso. Padre Marcolini aveva organizzato una “settimana bianca” durante le vacanze di Natale. Eravamo ospiti presso la Casa Soggiorno che i Padri della Pace avevano a Corteno Golgi vicino al Passo dell’Aprica, dove andavamo a sciare. E sui campi da sci facemmo amicizia con un gruppo di ragazze milanesi ospiti di un albergo. Per festeggiare l’ultimo giorno di vacanza le ragazze organizzarono una festicciola danzante presso il loro albergo dopo la cena serale e ci invitarono. Noi interessati eravamo in cinque o sei. Decidemmo di andare di nascosto, senza chiedere il permesso a Padre Marcolini, che probabilmente c’è lo avrebbe concesso. A sera inoltrata, quando eravamo già a letto e quasi tutti dormivano, ci rivestimmo e uscimmo alla chetichella mettendoci velocemente in cammino per raggiungere, dopo un percorso di  4 o 5 Km. l’albergo all’Aprica.  Verso l’una di notte, dopo qualche ora di divertimento con i dischi di Bing Crosby, Perry Como e Frank Sinatra, riprendemmo la strada del ritorno sotto un cielo limpido e stellato, come non avevo mai visto, e un freddo tremendo, come non avevo mai provato. Arrivati alla Casa di Corteno aprimmo il portoncino d’ingresso che immetteva in un lungo e stretto corridoio e, al buio completo, trattenendo il respiro e a passi felpati, tentammo di raggiungere la nostra camerata. Ma dopo pochi metri fummo bloccati da una invisibile e silente presenza che potemmo superare solo dopo aver preso, ciascuno di noi, un paio di potenti ceffoni e un calcione nel sedere. Nessuno parlò, silenzio assoluto. E anche al mattino, quando ci alzammo, Padre Marcolini non ci disse nulla e ci trattò normalmente come tutti gli altri. L’uomo era fatto così. Nella primavera successiva “Marculì” (così lo nominavamo solitamente) organizzò una gita istruttiva in pullman nell’Alto Garda, passando dalla Valle di Ledro. Prima tappa al lago omonimo per visitare le famose palafitte preistoriche e, poi, al posto di invaso della condotta forzata che porta l’acqua dello stesso lago, con un dislivello di 600mt., alla centrale idroelettrica del Ponale azionata da turbine Pelton. Ricordo che fu Lui stesso a descriverci dettagliatamente tutti gli impianti della centrale. Dopo un pranzo al sacco, ci trasferimmo nella piazza di Riva del Garda per un paio d’ore di libera uscita. Noi soliti cinque o sei dell’Aprica più qualche altro aggregato, guidati da un compagno che abitava in zona, andammo in un vicoletto dietro la piazza ed entrammo nel “casino” del posto, dopo aver presentato la carta d’identità che documentava il superamento del 18°anno di età. Ma nessuno riuscì a… consumare, poiché, pochi minuti dopo, piombò nel locale un “Marculì”  che, come un tornado infuriato , menando sberle e calcioni, ci buttò fuori tutti, senza proferir parola, come nel suo stile. Passiamo ora alle benefiche “sberle orali”. A fine anno scolastico, noi allievi del 5° Corso dovemmo affrontare l’esame di stato per ottenere il diploma di periti industriali. Era il 1952 e, per la prima volta in Italia, era stato stabilito che detti esami dovevano essere fatti da una Commissione Esterna, formata totalmente da professori provenienti da altri istituti, senza la presenza di nostri insegnanti. Ma coloro che avevano stilato il nuovo regolamento non avevano previsto che, anche per una stessa qualifica (elettrotecnica  nel nostro caso) l’orientamento specifico poteva variare di molto da istituto a istituto. All’ITIS di Brescia la nostra formazione era stata prevalentemente orientata verso le centrali  idroelettriche e le grandi linee di trasporto dell’energia ad alta tensione, poiché queste erano le priorità del nostro territorio. La Commissione Esterna che ci esaminò era composta in prevalenza da professori dell’ITIS di Firenze (sede delle officine Galileo) con formazione orientata invece verso la produzione di apparecchiature di misurazione e di controllo della corrente; professori  poco interessati (o poco preparati) per quanto riguarda la nostra formazione. E successe che a luglio i suddetti professori ci interrogarono sul loro orientamento trascurando il nostro.  Fu una mezza catastrofe perché ci rimandarono quasi tutti a ottobre, senza tener conto delle buone votazioni che avevamo ricevuto durante l’anno. E fu a questo punto che Padre Marcolini intervenne  efficacemente con la Sua solita foga menando sberle (orali) nelle sedi che avevano improvvidamente creato questa situazione (ministero della pubblica istruzione e provveditorati vari). A ottobre, se ben ricordo, fummo tutti promossi. Eravamo 24, residui di una drastica selezione degli oltre 50 che si erano iscritti al 1° Corso. Dopo l’ITIS non ebbi più modo di frequentare Padre Marcolini, anche perché andai a lavorare fuori provincia. Lo incontrai solo qualche volta in occasione di manifestazioni alpine. E a proposito di Alpini, dei quali era stato cappellano, voglio qui ricordare un significativo episodio (riferito nel libro “IL PRETE DI TUTTI” di Antonio Fappani e Clotilde Castelli e mirabilmente  descritto dal mio ex compagno all’ITIS e bravo poeta dialettale Ugo Pasqui). Accadde a Salò nell’estate del 1943. Gli Alpini che c’è l’avevano fatta a rientrare in Italia, dopo la disastrosa campagna di Russia, erano stati concentrati sul Lago di Garda per un periodo di riposo. Ma non riuscivano a smaltire il disagio,  la sofferenza interiore nel ricordo dei tanti compagni “che non c’è l’avevano fatta”  e l’indignazione verso il Capo del Governo Italiano che li aveva mandati allo sbaraglio senza mezzi adeguati. Una sera, in un locale pubblico, un Alpino un po’ “su di giri”  se la prese col ritratto del Duce. La cosa venne a conoscenza dei militi di un manipolo di Camice Nere di stanza a Salò; e costoro si prepararono per una spedizione punitiva. Ma il Cappellano Marcolini li prevenne precipitandosi dal “Seniore” comandante della Milizia e dicendogli in dialetto bresciano: “ I m’ha dìt che ì tò Milicc, Sissignore, i ghe l’ha sö coi Alpini e i völ picàga perché i gh’à parlàt mal del Principal. Sta atènto perché i mé, quando i lègnà, i lègnà zo dür, e i tò i pöl fas del mal! Dopo l’armistizio dell’8 settembre Padre Marcolini, come  i suoi Alpini che, tutti, non avevano aderito alla Repubblica di Salò, trascorse quasi due anni di dura prigionia nei lager della Germania nazista.

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