Il dono del silenzio

Ritratto di Massimiliano Magli

Agosto, sole, sdraio, vacanze, lettura. Io partivo con il fondo della valigia tappezzato di libri, gialli, thriller, biografie, classici e boiate varie. Ora possiedo un Kindle e posso caricarci sopra l’impossibile. Continuo ad amare la carta, le copertine (soprattutto quelle inglesi), ad annusare i libri prima di comprarli, a detestare le orecchie per tenere il segno e a collezionare cartoline dei musei da usarsi come segnalibri, ma la leggerezza e la praticità del supporto per lettura elettronica, altrimenti detto e-reader, pota…
La scelta e la recensione del libro per il mese d’agosto è un augurio sia a coloro che si apprestano a partire sia a chi resta a casa a ridipingere la cancellata o a dedicarsi a qualsiasi altro lavoretto fai-da-te che finirà sicuramente con l’applicazione indiscriminata di cerotti.
‘Il dono del silenzio’ di Thick Nhat Hanh si legge in un pomeriggio ma rimane impresso nella memoria molto più a lungo perché l’autore, il monaco buddhista, poeta ed attivista candidato al Nobel per la Pace nel 1967 da un certo Reverendo Martin Luther King, affronta un tema scomodissimo: il rumore. Quello che ci circonda e quello che abbiamo nella nostra testa che continua a fare chiasso come un frullatore dimenticato acceso anche quando troviamo il coraggio di spegnere la televisione, la radio, Youtube, Netflix e pure i familiari logorroici. Oggigiorno siamo connessi h24, ma a chi? Mi piacerebbe tanto saperlo. Nella maggior parte dei casi ad una casella di posta elettronica che fa le veci dei colleghi di lavoro, a due o tre profili che dicono tutto e niente a degli amici che per considerarsi tali dovrebbero già sapere di noi, alla frustrazione delle spunte blu su Whatsapp…’Perché non visualizza? Dov’è?’ ‘Perché ha visualizzato ma non risponde?’ ‘Perché mi ignora se ha ascoltato il vocale ben tre minuti fa?’ Azzeaderei perchè registrare un messaggio con lo sciacquone del wc come colonna sonora non è edificante. E la mente continua senza pace a creare paranoia, rumore, inquinamento acustico cerebrale.
Mi piace la filosofia di questo scrittore dal nome esotico secondo cui la joie de vivre è un diritto di nascita che poi soffochiamo con le nostre operose manine. La vita, dice, è piena di meraviglie sensoriali e quindi anche acustiche che purtroppo non riusciamo a sentire perché la radio non-stop nella nostra mente non ce lo consente. La proposta è quella di provare semplicemente ad essere, senza fare o strafare che è tipico della quotidiana giornata del medioman/mediowoman occidentale lavoratore, genitore, pagatore di bollette.
Il silenzio è un privilegio da ricercare, da regalare, da insegnare, da godere se mai lo troverete sulla spiaggia, su un sentiero di montagna, nel parco di una metropoli, ma soprattutto a casa e nella propria testa senza augurarsi di staccarsela e appoggiarla sul comodino per non sentirla brontolare incessantemente come una pentola di fagioli. Il silenzio è un diritto esattamente come le ferie.

 

 

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