"Brescia, triste e disperata"

Caro Direttore,
a cosa è giovata una vita di lavoro? Questa domanda me la pongo da qualche tempo mentre trascorro le mie giornate in quel di Brescia, premetto che sono un bresciano della provincia e che in questa città venni a lavorarci per poi viverci nell’anno dell’ultima Mille Miglia, quella vera.
Tutti seguivamo il tran tran di un costume che aveva fatto la storia di questa popolazione a denti stretti per migliorarsi e migliorare... “El laurà!” (ossia il lavoro)
Di cambiamenti ne ho visti molti in questo periodo di tempo.
Il 68, la pillola, l’aborto, il divorzio, bombe nelle piazze, processi, sequestri, che lasciarono il segno sul costume, nella cultura e nell’animo.
Sventolio di vessilli e bandiere, d’idee, di parole e di biglietti da mille lire che entravano e uscivano dalle tasche, a chi di più e a chi meno, e già attecchivano i parassiti, proliferando allegramente. e che accumulavano e spandevano soldi non loro, abbindolando, incensando, affumicando chi gli dava fiducia sostenendo un certo benessere, ma più al proprio.
Avemmo anche un Papa che portò a compimento il “Concilio Vaticano II”, che rivoltò gli altari per parlare al popolo e girando il deretano al Cristo in croce, tolse dei Santi dal calendario rei di non essere veri, ma veri erano i denari che avevano fatto accumulare nei forzieri, come pure togliere o neutralizzare i pulpiti appesi ritenendoli “troppo in vista”, fece persino arpeggiare le chitarre elettriche, essendo di moda, nella speranza d’avvicinare la gioventù alla chiesa fiutandola già orientata verso la “sballatura” della mente e dell’anima. Una ventata di rinnovamento, maritandosi con i “kompagni” già nemici scomunicati qualche decennio prima.
Da quel periodo ecco spuntare sulle vie della città i primi volti stranieri con altri pigmenti e non mi riferisco ai turisti. Gente che cercava un lavoro e s’inserivano laddove il nativo lo lasciava vacante, o per mancanza di spirito di sacrificio o perché aveva trovato di meglio, e con sommo piacere degli imprenditori perché costavano di meno e dagli affitta camere che potevano arricchirsi con i tuguri.
Era attraente vederli. Una novità dal sapore esotico, e per chi non si era mai mosso dal tetto natio, gongolava benevolo al gusto dell’immagine, solleticava pure alcune menti femminili e dubbi maschi all’erotico sollazzo.
La venuta cominciò dapprima come uno stillicidio e poi… un fiume in piena, convogliato da menti idrauliche manipolatrici d’inondazioni pilotate con fini senz’altro egoistici.
Eccoci ora alle porte spalancate, che entrano: agnelli, lupi cani, porci, avvoltoi, operose api e tafani sul trallero e trallalà del tamburo djebenl.”. Siamo tutti fratelli e chi non è con me, razzista è” saltellano i buonisti filo mondialisti.
“ Regoliamo i flussi dell’emigrazione". Suggerivano alcuni.
“ Razzista!” Li incolpavano
"Sono troppi e il lavoro per tutti non c’è”.
“Razzista!”.
“Aiutiamoli a casa loro”.
“Razzista!”.
“Il ricongiungimento con i famigliari deve essere graduale, per avere la possibilità di sostenerli sia per la casa, la sanità, la scuola".
“ Razzista!” Li aiuteremo noi.”
“ Con i soldi di chi?”
“Razzista!" "Non hai mai sentito parlare della solidarietà e della provvidenza?"
Ecco arrivare la crisi economica mondiale che certi soloni non hanno saputo prevedere.
Ora cammino lungo le vie della mia città e penso a com’era e vedo com’è. Leggo i giornali e guardo la televisione e cosa dicono e fanno vedere?
Taluno: “Tutto va bene madama la marchesa” Altri... “ Così non si può andare avanti” Altri ancora stanno sul po’ sul così e un po’ sul cosà. Ma io leggo sul volto di chi incontro e ascolto i discorsi di chi capisco (quasi una minoranza ormai) mi sento straniero a casa mia, certe vie neppure ci vado, industrie ferme, cantieri silenti, negozi spenti o ammosciati, ciabattanti accattoni e ciabattanti nullafacenti, spacciatori di sballo, e smidollati acquirenti che come tremolanti crem caramel verranno ingoiati in un sol boccone da fauci ingorde, traballanti arti vetusti sorretti da bastoni ma non più di speranza, gambette novelle procaci denudate e creste cespugliose, tatuaggi in vetrina e ferramenta in volto, con la lingua ai ceppi, desiderosi di pensare a godere il presente e con un “vaffa”, tanto in auge oggidì, al futuro.
Non sono più a Brescia ma Africa, oppure Asia, una torre di Babele che l’incomprensione farà crollare.
Violenze, truffe agli anziani, disoccupazione giovanile, fatica ad arrivare alla fine del mese, mancanza di lavoro, concorrenza spietata, aziende che chiudono, furti a bizzeffe, pure gli ottoni e il rame nei cimiteri stanno con sacrilegio rubando, famiglie smembrate da dissapori coniugali, e figli allo sbando dove le parole papà e mamma sono sostituite da compagno e compagna o genitore 1 e 2. Per uscire la sera serve una guardia del corpo, carceri stracolme come un alveare, da supportare, cause giudiziarie veloci come un bradipo, nutrite e spalleggiate da ideologie indulgenti o di comodo.
Viviamo nel marasma esistenziale in un connubio forzato e promiscuità raggelante.
Cos’è giovato il lavoro mio e quello dei miei genitori e i genitori dei genitori per migliorare l'esistenza? A generare miseria, sospetti, freddezza, odio, invidia, avversione, prepotenza, ghettizzazione?
Quando parlo di tutto ciò con qualcuno, mi si dice ancora “Razzista!” ma sono molti di meno e nel frattempo nelle case mettono l’antifurto, lesinano le spese e le signore hanno smesso di esibire per le vie monili d’oro.
Mi fermo sulle rive del Mella e gli parlo amareggiato, mi risponde gorgogliando:
“ me che garese de dit? Ardå che come so combinat per colpå ostrå, pröå a domandagå a pó al Garså”. ( “E io cosa dovrei dirti"? "Guarda qui come sono combinato per colpa vostra prova domandare anche al Garza”. Il Mella e il Garza sono i due fiumi che passano per Brescia.) … E l’acqua passa sotto i ponti più sporca che mai.