"La Rianimazione? Un terribile caleidoscopio"

Il calvario di Pier Zaniboni: io e mio padre, la vita e la morte
Ritratto di Massimiliano Magli

21 FEBBRAIO

Io sono Zaniboni Pier Attilio, ho 51 anni e vivo a Pumenengo (BG).
Sono geometra per una impresa edile di Romano di Lombardia.
I primi sintomi li ho avuti venerdì 21 febbraio quando sono tornato a casa la sera dal lavoro.
Mi sentivo stanco, ho misurato la febbre (38), ho preso un paio di aspirine e sono andato a letto.

Mio padre invece, che abita nella stessa corte di fronte a me, aveva la febbre da mercoledì e la stava curando con tachipirina. La mia famiglia? Io, mia moglie Eleonora, due gemelle di 14 anni e una bimba di 8. Entrambi lavoriamo, anche perché abbiamo da pagare il mutuo sulla casa, il finanziamento della macchina e infine il finanziamento degli apparecchi ortodentali delle due gemelle.


 
I TENTATIVI PER AVERE LA VISITA DEL MEDICO
 
Quindi ci appoggiavamo totalmente ai nonni (i miei genitori) che da sempre ci hanno aiutato per portare e riprendere da scuola le bambine, per preparare il pranzo (ci trovavamo tutti intorno alla tavola), anche il giorno in cui mio padre ha cominciato ad avere la febbre.
Recuperare le ragazze finito il dopo scuola e poi la merenda per tutte (compresa mia nipote di 12 anni). Insomma, per farla breve, i nonni ci stavano dando una grossa mano!
 
22 FEBBRAIO
 
Tornando a noi, il sabato mattina mi sono svegliato sfebbrato. Sono andato comunque in farmacia a spiegare i sintomi che avevo avuto.
Mi hanno risposto che era una cosa comune a tantissime persone e di trattare la febbre con tachipirina e prendere ricostituenti per farmi le difese immunitarie. Al pomeriggio tutto bene, la sera uguale. La domenica mattina (23 FEBBRAIO) invece mi sono svegliato con la febbre (38).
Ho iniziato a trattarla con la tachipirina fino al lunedì pomeriggio, ma la febbre scendeva per poi risalire subito.
 
24 FEBBRAIO
 
Mia mamma il lunedì mattina ha telefonato alla nostra dottoressa chiedendo se poteva venire a visitare mio papà, perché aveva la febbre alta. Al che lei ha risposto che nel pomeriggio sarebbe passata. Visto che si faceva tardi e della dottoressa non vi era traccia, mia moglie alla sera è andata in ambulatorio a chiedere se allora riusciva a venire a visitare a domicilio me e mio padre, perché entrambi nel letto con febbre alta, dolori generici in tutto il corpo e qualche colpo di tosse.

 
LA DOTTORESSA RIFIUTA DI USCIRE
 
La dottoressa in risposta le ha detto che era stanca e non aveva voglia di venire quella sera, ma che sarebbe venuta a visitarci sicuramente il martedì mattina (25 FEBBRAIO).
L’indomani (26 FEBBRAIO) invece ha telefonato dicendo che non sarebbe venuta perché aveva paura che la infettassimo e che quindi dovevamo chiamare noi il 112.
 
IL 112 IMPONE ALLA DOTTORESSA DI USCIRE
 
Allora così abbiamo fatto e il 112 in risposta ha detto che la dottoressa sbagliava a comportarsi così e che dovevamo richiamarla e dirle che era obbligata a venire a visitarci.
 
Tra un rimpallarsi di responsabilità la dottoressa alla fine è venuta a visitarci venerdì sera (28 febbraio) dopo la fine del suo turno di ambulatorio. Ci ha visitato entrambi (come poteva benissimo fare 4 giorni prima), e ci ha fatto 2 richieste di entrata al pronto soccorso per fare delle lastre per sospetta polmonite. Abbiamo quindi chiamato il 112 raccontando che finalmente la dottoressa era venuta e che ci aveva rilasciato due richieste urgenti. Dopo 20 minuti hanno fatto intervenire un ambulanza da Soncino. Gli infermieri ci hanno preso i parametri e poi hanno fatto richiesta per avere indicazioni su quale struttura fosse disposta ad accettarci.
 
OSPEDALE DI CHIARI: UN CLIMA DA GUERRA
28 FEBBRAIO
 
L’ospedale di Chiari ha dato il consenso. Quindi hanno caricato me e mio padre e ci hanno portato al pronto soccorso di Chiari. E' il venerdì sera del 28 febbraio, alle 20:30. Siamo stati accolti al pronto soccorso in un clima da guerra.
Quando è arrivato il nostro turno, ci hanno messo in un reparto in isolamento in due letti vicini. Qui ci hanno fatto i tamponi per il coronavirus, fatto le lastre ai polmoni, urine e prelievi del sangue di tutti i tipi.
Alle 2 il medico del Pronto soccorso, dopo avere raccolto i risultati dei nostri esami, ha disposto il nostro ricovero per grave polmonite per entrambi.
Alle 3 ci hanno trasferito al 3° piano in Medicina in isolamento tutti e due nella stessa stanza con bagno interno. Ci hanno fatto mettere i pigiami e poi ci hanno attaccato le flebo, partendo dalla tachipirina, perché io avevo 40 di febbre e mio padre 39.
Poi hanno attaccato l’ossigeno a entrambi. Alle 4:45 ci siamo addormentati.
 
1 MARZO
 
L'1 marzo alle 9 ci hanno rifatto tutti gli esami. Mio padre e io eravamo sfebbrati e riuscivamo ad alzarci e ad andare in bagno da soli.
L’unico sintomo strano era che ci mancava il respiro.
 
2 MARZO: «CIAO PAPA' VADO A FARE UN GIRETTO»

Tutti i giorni per due volte mia moglie e mia sorella venivano a darci conforto stando sulla porta, completamente mascherate. Poi all’improvviso lunedì 2 marzo, alla mattina, sono arrivati i miei risultati del tampone, in cui si diceva che ero positivo al coronavirus.
Da quel momento ho iniziato a peggiorare e a respirare malissimo, non riuscivo più ad alzarmi dal letto. Intanto cominciavano a girarmi intorno dei dottori con delle felpe con la scritta rianimazione. Poi, verso le 20, mi hanno detto che si era liberato un posto in rianimazione e quello lo riservavano a me.
Non è stata quindi una questione di scelta tra me e mio padre, è solo che in quel frangente io ero messo peggio di mio padre.
Certo poi è indubbio che, in condizioni alla pari, abbia la priorità un giovane rispetto a un anziano, pur trattandosi di una scelta terribile. 
Quindi mi hanno collegato a una bombola portatile d’ossigeno e mi hanno fatto salutare mio padre. Gli ho detto: «Ciao papà, vado a fare un giretto, ci vediamo tra una settimana, mi raccomando aspettami». Lui mi ha salutato alzando il braccio e facendomi un in bocca al lupo.
Questo è stato l’ultimo contatto che ho avuto con mio padre.
L’ho salutato con il braccio alzato e poi è iniziato il viaggio verso il reparto di rianimazione al 1° piano.

RIANIMAZIONE: 8 GIORNI VEDENDO VOLTI E LUCI COME IN UN CALEIDOSCOPIO

Qui mi hanno detto che tra poco mi avrebbero addormentato e poi intubato e che io dovevo essere forte e rispondere agli stimoli che mi avrebbero richiesto.
Poi il nulla. Ricordo solo che sentivo le voci di mio padre, mia madre, mia sorella, mia moglie e poi che vedevo immagini colorate che si muovevano, come quelle create da un caleidoscopio. Questo il lunedì 2 marzo.
Mi hanno fatto uscire dalla rianimazione lunedì 9 marzo, nel tardo pomeriggio.
Mi hanno portato nel reparto Traumatologia al 2° piano, reparto ormai assorbito anch'esso dalla Medicina.
Ero ancora in stato confusionale e non spiaccicavo una parola. Il giorno dopo, martedì 10 marzo, il dottore mi ha comunicato che fuori, in sala d’attesa, c’era mia moglie che mi aveva portato il cellulare e che ora lui ci metteva in comunicazione. 

MIA MOGLIE MI HA DETTO CHE AVEVA DUE NOTIZIE...
 
Così ha fatto: ci siamo parlati e poi mia moglie mi ha detto che aveva due notizie. Una bella, ossia che ero uscito dalla rianimazione, superando tutte le cose più pericolose, e quella brutta: che mio papà non ce l’aveva fatta ed era mancato, per una serie di complicazioni, nella giornata di venerdì 6 marzo e che avevano già fatto il funerale in forma privata nella giornata di domenica 8 marzo.
È stato come prendere un pugno in pancia. Ero incredulo.
Mio papà si chiama Guglielmo Zaniboni, ha 80 anni e di mestiere ha sempre fatto il camparo (responsabile della regolazione delle acque dei fiumi) per la provincia di Bergamo e Cremona. Anni fa gli è stata conferita la croce di Cavaliere del lavoro dall’allora Presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni.
 
12 MARZO: ANCHE MIA MADRE...

Intanto io miglioravo sempre di più giorno dopo giorno, fino a farmi alzare dal letto. Poi nella sera di giovedì 12 marzo, mentre ero al telefono con mia moglie, ho chiesto informazioni anche su mia mamma. E allora lì mia moglie non ce l’ha più fatta a tenere il silenzio e mi ha comunicato che mia mamma era stata portata al pronto soccorso già dalla domenica dopo il funerale.
Era risultata positiva al tampone e aveva una grave polmonite. Ora era ricoverata in isolamento sotto ossigeno nel mio stesso reparto. I medici avevano consigliato di non dirmi nulla per non abbattermi il morale avendone già viste troppe.
Lascio immaginare a voi...
 
IL MIO VICINO MORTO E LE DEFEZIONI
14 MARZO

Nei giorni a seguire cercavo di non pensare a nulla.
Intanto le infermiere del reparto, gentilissime, mi tenevano aggiornato sulle condizioni di mia mamma e cercavano di tirarla su di morale dicendole che io stavo bene. In quei giorni intanto mi avevano tolto il catetere e il sondino e, infine, avevano provato a togliermi totalmente l’ossigeno.
Durante questa settimana, in reparto, ho visto spirare il mio vicino di letto e c’è sempre stato un clima d’emergenza.
Cominciavano ad esserci defezioni anche nel personale infermieristico e quel poco personale che c’era doveva sdoppiarsi e fare i salti mortali, compresi i dottori che facevano la spola con il P.S. per andare ad aiutare, perché giù c’era il delirio. Questo fino ad arrivare alla giornata di sabato 14 marzo in cui il primario del reparto mi ha visitato e mi ha detto che avevano provato a trasferirmi in un’altra struttura per fare 14 giorni di riabilitazione fisica.
 
15 MARZO: SALVO, MA COSA FARE DI ME?
 
Purtroppo però nelle province di Brescia, Bergamo e Cremona non esistevano più strutture simili, perché trasformate tutte in reparti di degenza per il coronavirus.
Ora stavano pensando a cosa fare di me. Dopo una giornata di esami di ogni genere, lo staff medico ha chiamato mia moglie per dirle di venire in ospedale per le 16:30.
Le hanno chiesto se se la sentiva di farmi fare la quarantena a casa.
Mi hanno quindi dimesso, non prima di darmi l’opportunità di salutare di persona mia mamma...
E' stato bellissimo vederla e parlarle insieme. Quindi sono tornato a casa in isolamento a domicilio sotto osservazione del presidio medico per 14 giorni. Sono stato in una camera nel sottotetto, con bagno personale e completamente fuori dall’ambiente famigliare. Lì ho affrontato la quarta cura antibiotica per una settimana, e ogni 5 giorni avevo il prelievo degli esami del sangue sempre a domicilio. Terminati questi 14 giorni sarei stato contattato dall’ospedale perché escono a domicilio a farmi in due momenti diversi ancora il tampone, per certificare la negatività. 
Non vi dico la felicità quando ho visto mia moglie Eleonora, per non parlare dell’accoglienza delle ragazze al mio arrivo, con tanto di cartelloni. 
Una volta a casa, il pensiero è andato a mia mamma Camilla Rebuschi di 78 anni, che era appesa a un filo...e poi a mia moglie che la prima notte del mio ritorno aveva avuto febbre alta e aveva preferito mettersi in isolamento in una camera. Il giorno successivo ho chiamato mia sorella, che vive nella stessa corte e le ho chiesto aiuto per le nostre ragazze. Quindi abbiamo contattato l'ospedale per aggiornarlo sulla nostra situazione. Questa è la nostra storia fino al 17 marzo e alla domanda su come si risolverà questa malattia, beh... rispondo chiedendo una domanda di riserva...
 
17 MARZO, ANTIBIOTICI E CRAMPI
 
Io bene, sto migliorando molto lentamente, stanno facendo effetto sui muscoli tutti gli antibiotici che mi hanno propinato ed è un crampo continuo. Mia mamma è stabile e viviamo ora con ora... invece mia moglie Eleonora ha preso ancora un’altra tachipirina, ed ora è a letto che dorme. Le ragazze sono giù a cena da mia sorella! 
 
26 marzo
 
Mia mamma è migliorata tantissimo e oggi la trasferiscono al Don Gnocchi a Rovato per continuare l’antibiotico sperimentale e iniziare la riabilitazione fisica e polmonare. Finita la quarantena, le faranno lì i tamponi. Ora siamo tutti più tranquilli. Questa mattina invece abbiamo ricevuto la telefonata dall’ospedale dove mi hanno fissato per lunedì 30 il primo tampone, e per martedì 31 il secondo tampone. Speriamo non insorgano altre complicazioni e che questi cavolo di tamponi vadano bene...

30 marzo

Questa mattina ho fatto il primo tampone di controllo (in base alle nuove normative me l’hanno fatto sia nelle narici e sia in gola), domani ho il secondo e comunque devo stare ancora in isolamento finché non arrivano i risultati (hanno detto che ci chiamerà l’ospedale tra venerdì e lunedì).
 
2 aprile
 
Purtroppo i miei risultati sono arrivati questa mattina: il primo tampone è incerto, il secondo è negativo, quindi, non essendo entrambi negativi, mi hanno appioppato ancora 10 giorni di isolamento e alla fine mi chiameranno per rifare ancora la prova del doppio tampone. 
La notizia positiva invece è che mia mamma è stata dimessa adesso e che i suoi tamponi sono risultati negativi
 
17 aprile

Sono arrivati i risultati dei miei tamponi... Entrambi negativi!!!
Debole, ma rinfrancato... Martedì esami del sangue per vedere se gli antibiotici assunti hanno danneggiato il fegato e poi a metà maggio le lastre per verificare la guarigione dei polmoni. 

9 MAGGIO 

Ora benino, nel senso che la storia è lunga: la settimana scorsa mi hanno fatto ancora una lastra al torace e tutta una serie di esami del sangue (tutto a pagamento), compreso quello sotto sforzo, per verificare lo stato del fegato e del sangue (casi di embolie). 
Ora devo rifare le lastre a giugno (gli esami sono andati bene). La riabilitazione muscolare facendola a casa è lentissima. 
La respirazione invece va a fasi alterne, giorni di affanno ed altri no...mia mamma stessa cosa, ma, a differenza di me, lei ha anche qualche fastidio agli occhi e ha quasi 30 anni in più...
Come lavoro invece noi siamo tutti in cassa integrazione, a presto...

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