Salumi di un tempo: nel covo dei "carbonari"

In una segretissima cantina, l'incontro con Pedro e gli artisti dell'insacco
Ritratto di roberto parolari

Quando gli chiedi dove sia l'appuntamento ti rispondono come se fosse nel covo di un gruppo di carbonari.
La prima raccomandazione quando li raggiungo non è «toca mia» o «sta luntà», ma il silenzio tombale sull'indirizzo. In quel garage, a Rudiano, crescono salami, bödèi gentii, piedini, ossa, salami piccanti, cotechini, vesciche, rosette, coppe, pancette e soppresse a bagna con vino bianco, sale e spezie che sono segrete come il brevetto della Coca Cola.
Insomma per la congrega del salame selvaggio quel garage deve restare più segreto di quello che custodisce una vecchia Ferrari.
Pedro ci accoglie con il bigaröl (grembiale) attorno ai fianchi: volto concentrato, c'è poco dascherzare. A me invece viene un sorriso nel vedere questa squadra di calcio a 7 concentrata come massaie d'altri tempi intorno a salami, budella da cucire, macchina insaccatrice e pungi salame. Il termine giusto è proprio congrega, per la religiosità del momento, la serietà, la posta in gioco. Ci sono di mezzo inverni da finire, primavere da cominciare, estati da consolare con questi salumi. E poi le amicizie da soddisfare con le loro incalzanti richieste: «Ghet amó en cudighì?», «En salam de chèi bù», «La soprèsa per me sia»...
Pedro, 63 anni, è originario di Comezzano-Cizzago: al secolo Nazareno Pedrinelli, è rudianese d'adozione. Si porta dietro un bel carretto di esperienza lasciatagli da babbo Bigèlo (Angelo Pedrinelli), con cui a 8 anni cominciò tournée per le cascine del suo paese, raggiungendo anche aie e cortili di Roccafranca, Ludriano, Rudiano e persino di Alessandria: «dove una famiglia ci aveva preso gusto in tutti i sensi a invitarci: sia per il piacere di vederci che di apprezzare i nostri insaccati».
Mentre srotola i ricordi, ci fa visitare il caveau della cantina: stanzette adiacenti a quella di lavorazione, dove sono appesi decine di insaccati. Altri sono a fare il bagnetto tra vino bianco e spezie. Pedro prende una spazzola e la passa sui salami: «quando è bianca e sfarina vuol dire che tutto sta andando al meglio».
Insieme a lui ci sono i figli Felice, Luca e Andrea e gli amici Gabriele e Domenico. I toni sono da sala operatoria, tanta è l'attenzione riposta nell'insacco, alternati a qualche battuta da caserma e aneddoti del paese, su cui si staglia la voce stentorea di Pedro. 
«Più che un lavoro è sempre stata una passione – conclude -. Le famiglie ci facevano trovare il maiale ancora da ammazzare e noi facevamo tutto finché i salumi non erano appesi alla pertica. Ricordo in particolare una cascina di Roccafranca delle famiglia Uberti: qui ci tornavamo anche tre o quattro volte all'anno per fare il maiale. Gli animali erano allevati in cortile ed era una grande festa».
Momenti consegnati per sempre alla memoria di questi masadur, o norcini che dir si voglia: uomini che hanno vissuto quel poco che rimaneva dell'epoca narrata dall' "Albero degli zoccoli" e che ne trasmettono il ricordo ai più giovani... vegani compresi.

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