1938: il Cardinale Schuster a Rovato

Un evento a cui la città partecipò con una grande festa
Ritratto di Deborah

1938: solo dal 5 giugno il nuovo prevosto mons. Luigi Zenucchini succedeva a Felice Bonomini che in seguito fu nominato vescovo a Terni e Narni eppoi a Como dove morì. L’evento grandioso nel vero senso della parola fu la programmata visita del Cardinale Ildefonso Alfredo Schuster da noi per l’occasione del 400° della nascita di S. Carlo il 7 novembre. Sol di questo si parlava. Incredibile ma vero, il Cardinale di Milano, proprio quello che stava nel Duomo, a Rovato! Eccitazione in ogni luogo. Nelle omelie i sacerdoti informavano di tutto punto i fedeli, tanti, che partecipavano alle S. Messe e funzioni parrocchiali. Siccome i giornalai erano letti da pochissimi e non tutti sapevano leggere, il cognome del prelto era storpito in più maniere. Per alcuni era SUSTE, per altri SCIUSTA, per altri ancora SASTER. Per ex combattenti la grande guerra 1915-18 contro l’Austria era semplicemente l’ “austriaco”. Chissà perché. Forse le loro menti, nei ricordi del fronte riportavano quel cognome comune nel nemico. Mah! Le autorità comunali per l’occasione avevano deliberato e posto in esecuzione il potenziamento e l’ampliamento della pubblica illuminazione per la maggior parte del capoluogo. E quando completata quella di piazza Cavour con quei due pali a sorreggere i lampioni, a sera erano molti i cittadini a vedere tanta luce e gli “oh” di stupore erano spontanei. Ero chierichetto, allora; frequentavo pertanto la sacrestia e ben ricordo l’eccezionalità dell’andirivieni di persone giudicate importanti, sacerdoti ed altre. I loro volti a significare trepidazioni, preoccupazioni, gioia. E le frasi erano comuni: “SPEROM CHE TOT EL VAGHE BE” “CHE EL SIGNUR EL VARDE SO”. Arrivò finalmente la fatidica domenica del 7 novembre, tanto attesa. L’Eminenza arrivò dall’autostrada, nientemeno. Di per sé era già una cosa molto importante. Noi la potemmo vedere solo quando giunse in piazza Cavour quell’auto lunga e scoperta. Un omino piccolo minuto. Indossava un cappellone così grande da sembrare un ombrello piccolo, con sottogola. Veste rosso-cremisi (così si dice?), dolce sorriso continuo, benediceva a destra e manca. Scortavano l’auto, che si muoveva appena con fermate continue, 8 carabinieri a cavallo in alta uniforme con pennacchio e sciabola. Mamma mia, qual spettacolo! Immagini perpetue quelle dei Reali Carabinieri e il cappellone indossato dal porporato. Persino i cavalli parati a festa, sotto la sella un drappo a scendere sui fianchi. Era tanta, innumerevole la folla e tanto il tripudio e l’entusiasmo che a malapena il veicolo proseguiva per i pochi metri che rimanevano da percorrere. E i cavalli molto nervosi a zoccolare sul selciato della piazza. E i cavalieri con il pennacchio a mò di palafrenieri a calmarli e tenerli al passo dell’auto. E ogni finestra della piazza parata con drappi colorati e sobri. E da ognuna persone che gettavano fiori anche se non er ala stagione migliore. E le campane di un concerto eccezionale che suonavano a festa come mai si credeva di aver sentito. E lassù in alto nell’arco dei portici vantiniani il grande quadro a raffigurare S. Carlo. Meravigliosa opera dell’emerito rovaretese Gerolamo Calca che lo aveva creato per l’occasione. Non poteva non notarlo il minuto grande Cardinale, dal popolino già preconizzato futuro Papa. Per questo si fermò, guardò in alto e benedisse. E la folla incontenibile a battere le mani con occhi inumiditi e a gridare “Viva il Cardinale”. E davanti a precedere? Chi, quanti? Non è facile ricordare tutti, ci provo. Scrivo quanto mi sovviene: i confratelli: vestivano camice bianco lungo fino i piedi, sul quale una mantella rossa. Erano almeno 12, ognuno teneva per le mani un lungo manico sul quale una lanterna dorata con candela accesa. In duplice fila. Avanti uno che sorreggeva una grande immagine sacra lavorata color argento; i chierichetti, noi, vestiti di tonava rossa e cotta bianca, colori da indossare solo nei pontificali quando prevosti, vescovi e stavolta cardinale, officiavano con la mitria; i paggetti, almeno una decina, calze lunghe e bianche, calzoncini e giacchetta in velluto nero con basco piumato; i Tarcisiani, camice bianco fino ai piedi con greche rosse in fondo, piccola corona di alloro sul capo. Pure una decina congregazioni di uomini e donne dell’azione cattolica; le “Vincenzine”. Infine i tantissimi sacerdoti, tanti seminaristi, i vescovi Giacinto Tredici e Melchiorri, mons. Paolo Guerrini che aveva predicato il triduo di preparazione; il podestà Torri, il maresciallo dei C.R. Rosellini; altri ancora in divisa gerarchica e stivaloni neri. Non mi è dato sapere chi di importante arrivò da Brescia e altrove. La chiesa parrocchiale stracolma, né poteva essere diversamente, irradiata di luci sfolgoranti da nuovi lampadari in ferro battuto; addobbi di bellezze indescrivibili; tovaglie sugli altari ricamate d’oro; parametri sacri antichi e nuovi; l’altare del Santissimo lucidato da brillare nei suoi fregi e intarsi d’argento nell’ebano. Quando il Cardinale scese dalla macchina, sorretto da più mani (anche da chi un domani poteva dire “anche io l’ho toccato”) un baldacchino con superficie in telo dorato. Lo sostenevano 6 persone rigorosamente vestite in nero con guanti bianchi. In quei momenti il coro delle campane ancor di più sembrava giubilare al cielo. E il meglio lo dimostrò l’organo che ancora oggi è stimato per uno dei migliori, sedeva Piero Orizio a suonarlo. Suoni trionfali espandevano canne grandi e piccole dello strumento. Sull’altro balcone a lato dell’altare due violinisti a fare orchestra. Infine la corale a cantare il “Magnificat” del Tosi. L’interno della prepositurale era tanto affumicato da ceri e incensi da sembrare nebbia invernale, quella che rende tutto invisibile o quasi (esagero, certo). Ricordo che ad un certo punto della funzione religiosa si diede lettura a quanto inviato espressamente dal Cardinale Eugenio Pacelli allora Segretario di stato Vaticano e che dopo pochi mesi, alla morte di Papa A. Ratti, 10-2-1939, salì al trono pontificio come Pio XII. E poi, dulcis in fundo i fuochi artificiali nella tarda serata. A detta dei rovatesi adulti mai si era vista tanta bellezza di programma. Noi ci crediamo.

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