Covid 5 anni dopo con la fondazione Pellegrini Forlivesi

Chiari, nel 2020, con il suo ospedale è stata tra gli epicentri bresciani della devastante ondata pandemica di Covid 19. E Chiari (che conta 525 decessi da Covid) ha accolto oggi 15 marzo in Villa Mazzotti un convegno celebrativo del ricordo, organizzato da chi ha affrontato da pioniere e sostenitore proprio l'ospedale Mellino Mellini. Si tratta della Fondazione Pellegrini Forlivesi. Il convegno è stato anche una sorta di riunione di famiglia, con i protagonisti dell'epoca.
Un evento che ha aperto le celebrazioni previste per il 18 marzo, Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di Coronavirus.
Per la Fondazione a fare gli onori di casa è intervenuto il presidente Augusto Pellegrini, che ha accolto il suo amico di confraternita, il medico statunitense Blair Holladay, Ceo dell'American Society for Clinical Pathology. Il sindaco Gabriele Zotti ha voluto ricordare «la straordinaria azione dei sanitari, della protezione civile, dei vigili del fuoco ma anche della chiese nel dare aiuto e conforto a una popolazione terrorizzata».
«Chiari – ha detto Holladay – è stata la dimostrazione della resilienza italiana, la capacità di reagire nei momenti più neri. Ha dato una lezione enorme al mondo intero. L'esperienza del Covid ci ha fatto progredire moltissimo nella cura e nella prevenzione, potenziando enormemente le nostre conoscenze in merito all'Rna messaggero». Holladay ha anche invitato il mondo della politica e della comunicazione «ad un'azione per ricostruire la fiducia nella sanità pubblica e nelle scoperte come i vaccini, visto che persino il morbillo è una malattia che sta tornando a diffondersi».
Pellegrini ha ricordato e ringraziato l'amico Holladay per la donazione di mascherine respiratorie.
«La fiducia nella sanità e in chi ti aiuta – ha detto Holladay – è anche questo: le mascherine a Chiari, gli aiuti sono arrivati grazie a un'amicizia tra due 18enni... Io vi invito ad avere fiducia nelle relazioni come arma straordinaria di problem solving».
E la vicenda delle maschere respiratorie donate dal professore è stata ricordata anche dall'ex direttore generale Mauro Borelli: «Fu surreale dover vedere quelle mascherine che ci erano state regalate sequestrate in dogana. Alla fine, anche grazie a un europarlamentare, ce le andammo a prendere a Roma e le portammo a Chiari. Poi cominciammo la rincorsa per trovare le valvole respiratorie e l'agendina di contatti alla fine fruttò l'ingegner Cristian Fracassi, tra i primi a fornirci di questi aggeggi stampati in 3D».
Borelli non nasconde la commozione: «Tra gli eroi ci furono anche gli amministrativi, non solo i medici e gli infermieri. La mia amministrazione riuscì a moltiplicare le dotazioni di ossigeno in una notte. C'era tanto ossigeno da trasformare i magazzini in una potenziale bomba, ma le regole le accantonammo per dare spazio al salvataggio delle vite, fermo restando che anche le maschere che vennero arrangiate per noi avevano tutte una scheda tecnica ad hoc. Per dare forza al personale cominciai a mettermi la mascherina anziché alla bocca sulla testa... In realtà me la facevo sotto. A un certo punto due giovani medici mi dissero: direttore si metta la mascherina perché se le capita qualcosa siamo fottuti».
Il direttore generale attuale Alessandra Bruschi: «All'epoca ero in amministrazione in Regione e posso garantire che abbiamo corso e fatto salti mortali come li hanno fatti tanti in corsia. Sbloccare commesse e favorire l'arrivo dei dispositivi salvavita era un dovere morale».
Jean-Pierre Ramponi: «Confermo. Si decise di scegliere tra chi era messo peggio e chi poteva cavarsela. Non avevamo i mezzi per dedicarci a tutti. Voglio solo dire che con 300 posti letto affrontammo nei due mesi di picco emergenziale 6000 pazienti».