Paolino... le lacrime sono un banale contorno

Paolo Bolognini ha fatto i bagagli questa mattina a 51 anni
Ritratto di Massimiliano Magli

E adesso...?
Moriamo noi, senza il tuo sorriso, le tue magnifiche canzonature, i tuoi lazzi, gli scherzi ai miei bambini e ai bambini del mondo. Due roselline sul tuo corpo sono arrivate da loro, che per la prima volta hanno conosciuto la morte. Solo con te i miei figli potevano avvicinarsi a tanta Paura: grazie per tutto quello che hai regalato alla mia famiglia, hai donato una gioia che solo i prìncipi della santità possono donare.
«Papà, ma era ammalato? Perché non ha sentito dolore? Non si è accorto che stava male?»... E via dicendo bimbi: benvenuti nel mondo speciale, normale al tempo stesso, degli aeroporti senza cherosene.
Paolo sei stato il primo sconosciuto con cui i miei bimbi giocavano e scherzavano, senza paura... ricevevano con piacere i tuoi favolosi spaventi per poi ricambiare.
«Zio» adottivo di decine di bambini che in piazza e per i bar impazzivano per il tuo carattere, eri un uomo semplicemente felice. Forse per questo i soli 51 anni a cui hai deciso di prendere i bagagli valgono il doppio e il cielo lo ha preteso, lasciando tra quei muri ora troppo vuoti in via Fiume Oglio la dolce mamma Gina, a cui si sono stretti i tuoi fratelli Giuseppe, Andrea, Pierina e Marisa.
C'è sgomento nella tua morte, perché il tuo sorriso, le tue pose, la tua enorme onestà e la tua bontà sono di una presenza talmente forte da lasciarmi senza fiato.
Guardarti parlare, raccontare la malattia che avevi avuto, le fatiche dopo l'ictus, la riconquista piena e perfetta della vita, la gioia che sgorgava da ogni tua parola e l'umiltà che accompagnava ogni tuo gesto... era fantastico.
Ti ho voluto bene con l'egoismo di chi si lega a una persona come l'attaccante a una palla sulla linea della porta avversaria: troppo facile. E troppo facile insegnarti a ritirare il bancomat (tu che nemmeno avevi intenzione di chiederlo per non disturbare) poiché non ricordavi il codice della scheda. E troppo facile dirti: «Paolo, schersa mia, quando ti serve me lo dici...».
«Dai partom alura!».
E mentre ti spiegavo come ricordare numeri e affrontare il mostro mangiasoldi, sorridevo per la certezza che ti avrei visto presto ritirare la pensione imparando a menadito il meccanismo.
Avremmo ancora diviso decine di giorni al bar, annoiandoci splendidamente a chiederci «come va?», «lavori ancora là?», «tua mamma come sta?»...
Nemmeno a spanne sono riuscito a capire che i tuoi petali erano prossimi a cadere.
Oggi il dolore scivola via ma non filtra, ristagna. Non va giù. Incontra il volto di tua madre e si raddoppia...
Appena arrivi, mandaci l'indirizzo... 

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