Il ritorno di Begni dall'inferno

Intervista al vigile del fuoco volontario che ormai è un eroe
Ritratto di Redazione

Ha riabbracciato Chiari con emozione non tanto perché gli mancasse, visti i soli 15 giorni trascorsi con l'ultima trasferta, ma perché è la terra che gli ha concesso di partire verso un dovere morale che sentiva fortissimo. Sabato scorso, 16 maggio, Giuseppe Begni, è rientrato a Chiari dal Nepal posando in modo simbolico davanti alla segnaletica di ingresso della città, dopo aver vissuto nell'inferno per 15 giorni, aver rischiato la vita ed esserne tornato incolume.
Nelle scorse ore il suo aereo è atterrato in Italia per riportarlo a casa dopo la missione in Nepal favore dei terremotati. Qui ha rischiato la vita con la seconda scossa, che lo ha visto salvarsi per un soffio uscendo in pochi attimi in strada da una ristorante in cui si trovava.
«Sono grato anzitutto all'azienda ospedaliera – dice Begni – che mi ha fatto ripartire dopo che già ero stato in Nepal per aiutare la scuola di Kirtipur dall'11 marzo all'11 aprile. Poi è arrivato il sisma e sono ripartito il primo maggio. Se non fossi riuscito a ripartire non mi sarei mai più mosso per aiutare i terremotati, perché questo era l'unico momento drammatico in cui serviva il loro aiuto. Tra un anno avrei potuto contribuire con molti più quattrini ma non sarebbe servito quanto ora, con pochi aiuti ma tempestivi».
Begni ha fatto tutto da solo: non ci ha pensato due volte ad aprire un conto corrente dedicato, raccogliendo poco meno di 15 mila euro. «Sono serviti ad acquistare le cose più urgenti. Per esempio cento tende a Kirtipur, che i nepalesi usano come casa. Avevamo trasformato la scuola fondata da Fausto De Stefani in una sorta di ambulatorio-ospedale. Ma la gente ci è passata per poche ore per poi tornare a casa, fosse pure davanti alle loro macerie in una tenda».
E ora? «Ora le cose si complicano. Ho avuto un contatto con Emergency che si sta attivando nella zona, ma con la temperatura a 28 gradi e l'arrivo dei monsoni, le epidemie e gli smottamenti rischiano di fare ancora più vittime, dopo che già oggi siamo oltre 9 mila morti. E poi c'è la malaria che non perdona e il terreno argilloso non aiuta la tenuta di molti siti dove le fondazioni delle case sono già precarie».
Come ha agito lo Stato nepalese? «In modo discutibile direi, perché anche dopo la prima scossa non ha chiuso strade pericolose, con ancora liberi gli accessi a negozi e case già segnate dal sisma. Si lavorava ancora in bar ed esercizi pubblici che avevano appoggiate alla propria struttura case già pericolanti dopo la prima pesante scossa».
Ma come si poteva dormire la notte? «La scuola di Kirtipur è antisismica – spiega Begni – ma non si è mai tranquilli. Ogni notte c'erano scosse paurose. Per dare un esempio, basterebbe dire che il terremoto che ha colpito il Bresciano nel 2004 non era nulla a confronto di ciò che si sentiva ogni notte. Ci si svegliava e poi dovevi prenderla con filosofia. Girarti dall'altra parte e tornare a dormire».
E adesso per Begni tutto torna alla normalità o quasi, essendo infermiere al Pronto Soccorso di Chiari e vigile del fuoco volontario. «Voglio solo che partano al più presto i container di vestiti e generi di prima necessità che sono stati raccolti anche grazie al gruppo dei Ribelli di Chiari. Poi non mi resta che pregare per la popolazione nepalese».

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